Piccola storia della deindustralizzione italiana


Il sistema industriale italiano è stato molto forte. Era basato sulla cosiddetta ECONOMIA MISTA, cioè grandi aziende pubbliche, qualche grande azienda privata, tantissime piccome medie imprese.
Il sistema misto ha fatto la fortuna dell’Italia, portandoci al 5° posto tra le economie più industrializzate a fine anni ’80.
Mattei, fondatore dell’ENI, ha evitato che l’Italia dipendesse dalle forniture di energia della British Petroleum, della Exxon o della Total, con grandi drenaggi di soldi dall’economia italiana.
Purtroppo un tragico ed inaspettato incidente lo ha eliminato , e l’Italia è ritornata a miti consigli.

Cosa ci ha fatto arretrare dai nostri interessi nazionali?
Le cause sono economiche, politiche, culturali ed esogene.
Innanzitutto prevalsero negli anni ’70 le idee “monetariste” di Milton Friedman secondo il quale l’inflazione dipende dalla quantità di moneta stampata, per cui occorre rendere indipendenti le banche centrali dalla politica (che chiede di stamparne troppa) e far si che gli Stati si finanzino a debito sui mercati (che poi sono le grandi holding finanziarie anglosassoni) anziché, almeno in parte, con le proprie banche centrali.<br />Kissinger diceva: “controlla il petrolio e controllerai gli stati; controlla il cibo e controllerai il popolo”.

Potremo anche aggiungere: “controlla l’indebitamento degli stati e controlli tutto”.

In secondo luogo vennero accantonate le teorie Keynesiane, vincenti sin dagli anni ’30, della spesa pubblica in fase di recessione, in quanto l’inflazione galoppante degli anni ’70 la si attribuì alle spese pubbliche sul welfare degli stati avanzati e non, più correttamente, alla decuplicazione in 6 anni del prezzo del petrolio, risorsa alla base del costo di ogni bene-prodotto.

L’errore fu fatto in mala fede, perché la spesa pubblica non può generare inflazione non controllabile, finche ci sono fattori della produzione non occupati.
Detto in altro modo, finchè ci sono disoccupati e imprese in crisi.

I disoccupati e le aziende in crisi, in una economia innaffiata di denaro pubblico , in un certo qual modo contribuiscono a tenere bassi i prezzi ed i salari, limitando l’effetto inflazionistico dello stampaggio di moneta, ovvero per avere lavoro sono disposti ad accettare prezzi più bassi.

Un po come sa facendo la FED americana, che stampa dollari a manetta, tranne limitare lo stampaggio qal minimo cenno di rialzo dell’economia.

O, meglio comunicando che limiterà le stampanti , causando con la sola diceria un rallentamento dell’economia e dell’inflazione.

Vediamo allora di fare una breve cronistoria di quello che è stato il suicidio nazionale.

1 – 1981 – il divorzio tra Banca d’Italia (C.A. Ciampi) e Ministero del Tesoro (Beniamino Andreatta), ha fatto esplodere i tassi degli interessi sul debito pubblico in quanto la sovranità monetaria è rimasta solo formalmente, in quanto sostanzialmente lo Stato si poteva, da allora, finanziare solo a debito sui “mercati”. La conseguenza è stata il raddoppio del debito pubblico in 10 anni (dal 60% del 1981 al 120% del PIL nel 1991, proprio a causa della capitalizzazione degli interessi passivi). L’intento di Andreatta era di indebolire la politica, togliendogli il controllo della moneta. C’è riuscito ma siamo finiti in balia dei mercati.
Detto sempre in parole semplici prima si creava inflazione stampando moneta per finanziare le spese pubbliche, da quel momento in poi le spese pubbliche sono finanziate dal debito.

2 – l’allievo di Andreatta, Romano Prodi, presidente dell’IRI, già nel 1984 stipula a trattativa privata, in compagnia di Cuccia, un pre contratto di vendita della SME (Cirio, Bertolli, De Rica, Motta, Alemagna, Autogrill, GS supermercati, Italgel) a Carlo De Benedetti per poco meno di 500 miliardi di lire.
Nonostante l’appoggio di de Mita a De Benedetti, Craxi riesce a bloccare tutto con contro cordate (ad es. Barilla-Ferrero-Fininvest).
Andrà a finire, dopo innumerevoli controversie giudiziarie, che Franco Nobili, nuovo presidente IRI, nel 1993 decide di privatizzare la SME spacchettandola in tre tronconi.
Viene colpito e affondato da mani pulite e Prodi che subentra a Nobili tratta la vendita.
Alla fine della giostra, l’Italia incasserà 2000 miliardi lordi (bisognava pagare le consulenze delle varie Goldman Sacks, JP Morgan ecc.) dalla cessione della SME. A chi?
Bertolli va alla Unilever.
La Italgel alla Nestlè.
Benetton prende per 700 mld di lire GS e Autogrill.
Dopo pochi anni vende i soli supermercati GS alla Carrefour per 5000 mld.
Tiene immobili per 1500 mld.

3 – negli anni ’90, essendo riusciti (con il punto 1) a creare forti vincoli alla finanza pubblica, con la prospettiva dell’euro, si avvia la più imponente campagna di privatizzazione planetaria: si vende la Telecom (che nel 2013 passerrà agli spagnoli); si vendono le banche nazionali favorendo grandi gruppi in regime di oligopolio a danno dei risparmiatori; si smantella l’IRI; si vende la rete telefonica delle ferrovie (Infostrada) a Carlo De Benedetti per 740 mld di lire pagabili in 14 anni (!!!).
De Benedetti cede poi Infostrada ai tedeschi di Mannesman per 14.000 mld (non a rate!!!).

Bello fare i grandi industriali nella nostra Italia.

Il risultato è quello che scrisse il politico francese Edouard Balladour: “gli italiani, nella loro follia moralizzatrice, stanno abbattendo tutte le loro querce più grandi”.

Il tutto condito allora da Manipulite, che decapitò i vertici di ENI, Ferrovie, ecc. e dall’uso suicida delle norme antitrust che parevano valere solo per impedire lo sviluppo di compagnie italiane come STET, Telecom, ENEL o dell’ENI, mentre non valevano per la svendita ai nostri grandi competitor internazionali.
Incidentalmente le norme antitrust non valevano anche per la Mediaset e la galassia berlusconiana, ma quella è tutta un’altra storia.

Altro fattore di contesto era la prospettiva dell’euro (identificata erroneamente con l’Europa). Tutti volevamo sentirci “europei” e suicidammo con senso di inferiorità gli interessi (e le prospettive) nazionali, pur di entrare in un circolo, che alla luce dei fatti ha dato solo grandi vantaggi quali quelli di non dover più andare a Parigi e cambiare lire con franchi.

Gli inglesi sono stati più fessi di noi. Si sono tenuti la sterlinetta ed hanno rifiutato, in tal modo, ingenti flussi finanziari nella loro borsa, o grandi flussi turistici o i tanti italiani che avrebbero acquistato case a 15.000 sterline a mq a Londra.
Che fessi, si sono tenuti le loro leve sovrane e politiche, anziché accettare burocrati europei che arrivano a spiegargli il bene e il male.
Talmente fessi che nel 2012, anziché massacrare la propria economia con più tasse per 70 mld di sterline, hanno fatto riacquistare (riducendolo) debito pubblico alla Banca D’Inghilterra, per lo stesso importo.
Che fessi… faranno aumentare l’inflazione!

Occhio, hanno i loro problemi anche loro , ma invece di ignorare il mostro finanziario ne sono entrati a far parte, diventando la portaerei da sbarco in Europa delle grandi banche di investimento.

Ma torniamo all’Italia.
Arrivano un giorno si ed uno no commissari europei per ridisegnare le nostre manovre finanziarie.

Letta, allievo di Andreatta, a Cernobbio (!!!) ha insistito con la necessità di privatizzare ENI, ENEL, Finmeccanica, gli ultimi “gioielli della corona ” rimasti.

E vogliamo parlare di Alitalia?
Delal meravigliosa opera di Berlusconi, della cordata di Capitani Coraggiosi, che , vist ala mala parta decidono di scappare e lasciare i rottami di Alitalia in mano ad Air France?

Air France che ha già l’acquirente pronto ed incasserà un sacco di  soldi invece di rimetterci?

Ma si sa, sono misteri che i poveri economisti pagati dal governo non possono sapere.

Bene… pagheremo altre provvigioni a quella stessa Goldman Sacks che ha ridotto i propri investimenti in titoli pubblici italiani (da 200 mld di euro ad un 100 di milioni) per ringraziarci delle provvigioni degli anni ’90 e 2000.
Ma GS è quella stessa potentissima compagnia di cui sono o sono stati advisor i vari Prodi, Amato o Gianni Letta…quella che i consiglieri di Obama ricordano nei consigli di stato:

“e Goldman cosa penserà di questo?”