Keynes vs Hayek: due teorie economiche a confronto, parte seconda

Keynes vs Hayek 2

Torniamo a parlare dei nostri massimi esponenti di teorie economiche.

Keynes, ossessionato dalla disoccupazione, paladino dell’interventismo statale, pragmatico, sapeva operare direttamente nei mercati finanziari con ottimo successo, un brillante e carismatico inglese, stimato professore di Cambridge e fondatore della moderna macroeconomia. 
Contestò le tesi economiche dell’epoca e si impose affermando che lo Stato può e deve operare per correggere i mercati che se lasciati soli, non sono in grado di portare alla piena occupazione. 
Quando nel 1936 Keynes pubblica la “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”  la moneta era ancora, in parte, legata all’oro. 

Combattere la disoccupazione con una spesa pubblica in deficit, opere pubbliche sostenute da tassi d’interesse irrisori: il leitmotiv di tutte le successive amministrazioni, democratiche e repubblicane, Eisenhower fu il primo conservatore keynesiano, l’ultimo fu Nixon. Keynes contestò il modello puramente capitalistico, ma fu anche un abile speculatore nei mercati finanziari e smodatamente ricco.

Hayek, ossessionato dalla iperinflazione, combatterla fu il suo cavallo di battaglia, un pignolo e caparbio austriaco trapiantato alla London School of Economics, estimatore della vecchia microeconomia e del liberismo. 
Asseriva che i mercati, se lasciati operare senza interferenze, erano in grado di autoregolarsi. I cicli economici, secondo questa sua teoria, sono sostanzialmente inevitabili. 
Si concentra sulla correlazione fra domanda complessiva ed occupazione totale, sul criterio di determinazione dei prezzi e dei salari che permettesse di equilibrare l’intera equivalenza del sistema economico. 
Il suo tentativo di trovare un equilibrio economico generale, una teoria economica del ciclo per spiegare le fluttuazioni economiche la si trova in Monetary Theory an the Trade Cycle del 1929. 
Si concentra sull’importanza degli individui e delle scelte che essi si trovano a dover praticare nell’ordine di soddisfare i propri bisogni. 
Gli studi sulle leggi della domanda non coinvolgeranno più dunque l’equilibrio economico e le fluttuazioni cicliche in quanto tali, ma piuttosto gli elementi operanti che danno luogo a situazioni di equilibrio e fluttuazione nel mercato. 
Negli anni formulò tesi dove sostenne che l’intervento governativo in economia è direttamente proporzionale alla crescita dell’autoritarismo politico, che in ultima istanza avrebbe portato ad un “totalitarismo strisciante”, auspica a un mondo privo di azione statale, l’erogazione di moneta doveva essere posta in mano privata. 
Era un teorico e per tutta la vita lottò per ridurre il peso dello stato nell’economia, ironicamente è vissuto sempre e solo di soldi pubblici e si è ritrovato, vicino alla pensione, in ristrettezze economiche.

Un mondo capitalista, dove essi applicarono metodi differenti ma entrambi furono nemici del socialismo. Oggi le sorti dell’economia mondiale rimangono incerte e le ricette proposte e applicate sono spesso contraddittorie. L’occidente sembra aver scelto una ricetta poco efficace fatta di austerity e allentamento monetario.
Dal 1971 le economie del mondo si sono slegate dal gold exchange standard e sono basate su una moneta senza alcun sottostante e che viene accettata solo in forza della legge (corso forzoso).
Attualmente il denaro/moneta è una convenzione sociale e svolge anche la funzione di riserva di valore, la moneta è interamente moneta-segno (non convertibile in niente), questa caratteristica limita la politica keynesiana. Stiamo parlando di una moneta che non solo non costa nulla, ma può produrre ulteriore moneta attraverso il meccanismo dell’interesse.
Le teorie keynesiane vennero progressivamente abbandonate con l’arrivo della stagflazione negli anni ’70, il peso del deficit associato all’aumento del prezzo del petrolio di quel decennio, ebbe effetti pesanti sul debito pubblico.
Le teorie stesse di Keynes e Hayek nascono in un’epoca dove le aziende rimanevano sul territorio, la teoria fordista nasce dalla supposizione che i dipendenti fossero capaci di acquistare ciò che producevano, gli stessi capitali all’epoca non avevano movimento così fluidi.
Ma quando andò in crisi il return on assets – ROS – tra la fine degli anni ’60 e la metà degli anni ’70 le economie occidentali rallentarono, l’inflazione e la disoccupazione continuava a salire. Il sistema economico vide rallentare il settore manifatturiero-industriale mentre aumentava il settore dei servizi. L’industria iniziò a delocalizzarsi dai ricchi paesi occidentali ai paesi in via di sviluppo perché lì la produzione è meno costosa, questo processo accelerò dopo il crollo del blocco comunista.

Keynes e Hayek invece vissero in un’epoca dove le teorie erano formulate in un mondo ancora legato alla produzione di beni materiali, mentre la finanza moderna è slegata dalla produzione.
Fino agli anni ottanta gli stati nazionali potevano manovrare le leve dell’economia, ma con l’arrivo di sistemi economici sovra-nazionali e la perdita di controllo della finanza internazionale, gli stati sono stati catapultati in un unico grande mercato. In questo mercato gli stati competono con global player non statali che in termini di capitali sono più grandi degli stati stessi.
Negli ultimi venti anni la sovranità democratica è stata compressa dalla crescita globale dei sistemi economici. Dal sistema “state embedded markets” siamo passati al sistema “market embedded states”. Solo grandi potenze economiche come Usa, Russia e Cina possono competere su questo mercato globale riuscendo anche a preservare la loro sovranità.

Nei singoli stati europei uno dei maggiori problemi proviene dalla moneta unica, che non può essere accompagnata da una politica fiscale e finanziaria, dato che le varie nazioni non hanno nemmeno raggiunto istituzioni politiche-fiscali unitarie e non esiste neanche un debito pubblico unificato. L’euro e le direttive europee sono un macigno che pesa sullo sviluppo della maggioranza dei paesi europei, favorendo principalmente gli stati “core”.
Ecco perché la crisi dei debiti nazionali non troverà facili teorie economiche atte a porre rimedio in questo caos.

La crisi economica cominciata nel 2008 ha innescato un dibattito sulle strategie per uscire dalla recessione, si sono riprese in mano le vecchie teorie formulate negli anni della grande depressione negli anni ’30 del secolo scorso.
La teoria monetaria più vicina alle idee socialiste di un tempo è la Modern Monetary Theory (MMT), chi appartiene a questa scuola chiede la nazionalizzazione della banca centrale, politiche monetarie molto espansive, che però siano dirette all’economia reale tramite opportuni programmi. Questi economisti sostengono che il deficit pubblico è ininfluente, a patto che venga finanziato da banche centrali che comprano illimitatamente titoli di stato emessi dai rispettivi governi. Questa teoria prevede l’uscita dall’euro per poter tornare a stampar moneta senza vincoli esterni. I teorici che supportano questa idea sostengono che uno stato sovrano può tranquillamente indebitarsi e stampare moneta all’infinito. Ovviamente anche qua non mancano forti detrattori.
E’ rispuntata una folla di politici keynesiani che propongono di far ripartire l’economia dal lato della domanda, aumentando la spesa pubblica rimanendo all’interno dell’euro, allentando i vincoli della Bce anti-deficit, Ovviamente sono parole al vento, visto che, per come è congegnato l’euro, è un’operazione impossibile.
Non manca la focosa controparte, la scuola austriaca (di Ludwig von Mises e Friedrich von Hayek) che ritengono che non esistono ricette facili e indolori per uscire da una crisi: solo il duro lavoro, maggiore risparmio e riduzione delle spese eccessive. Sono ovviamente contro l’immissione di nuovo denaro nel sistema economico. Per questa scuola l’economia deve sostenersi e svilupparsi dal lato dell’offerta, grazie all’opera di aziende e imprenditori, il capitale finanziario destinato agli investimenti deve scaturire dal risparmio reale, generato dalla produzione e dallo scambio di beni e servizi.

Molte delle teorie del passato – inevitabilmente figlie della loro epoca – sono attualmente irrealizzabili perché il capitalismo attuale funziona con nuovi paradigmi, la finanza ha raggiunto un peso ed una velocità enormi rispetto all’economia reale, scollegandosi dal mondo produttivo.
Le barriere politiche e doganali che limitavano la circolazione di merci e capitali sono scomparse o allentate, i paesi emergenti offrono un esercito di manodopera a basso costo che riduce il potere di contrattazione dei lavoratori dei paesi sviluppati e mina le basi dell’economia fordista.
La deflazione tecnologica avrà un peso sempre maggiore, così come le informazioni e le tecnologie si muovono a velocità iperbolica. Nuovi player globali stanno emergendo e possono mettere in discussione gli equilibri politico-economici consolidati.
In fine, mentre vi accapigliate per capire quale sia la teoria giusta da applicare, potremmo avere raggiunto i limiti ecologici dello sviluppo umano per come lo conosciamo.

BY Alessia