La polveriera Taiwan

Tra i tanti sogni cinesi c’è quello di riannettere Taiwan anche se EPL (esercito popolare di liberazione) non è ancora pronto. Xi Jinping è fortemente nazionalista e spesso parla di unità territoriale, l’unificazione è un sentimento nazionale, è un argomento che non manca mai di sottolineare. Se ci riuscisse diventerebbe una sorta di eroe nazionale. Per realizzare questo deve andare avanti a tappe forzate per riformare il partito, modernizzare e sviluppare le armi e l’esercito, risistemare e rinforzare l’economia. Nel frattempo dovrà anche studiare le misure da mettere in campo: come reagire alle sanzioni internazionali e le noie stesse legate al conflitto; non dimentichiamo infatti che Taiwan è molto legata agli USA.

La Cina si espande e gli USA sta cercando di contenere questo strapotere di penetrazione nell’Oceano Pacifico. L’isola di per se non ha risorse e vive di importazioni, dal punto di vista delle rotte marittime domina lo stretto di Formosa e lo Stretto di Luzon, quindi impossibile contenere le mire cinesi che arriveranno a controllare ed espandersi nella zona sudorientale dove ci sono i tracciati più brevi che collegano l’Oceano Pacifico e l’Oceano Indiano, qua ci molte rotte di navigazione intensamente trafficate. Brunei, Malesia, Filippine, Taiwan e Vietnam sono ognuno coinvolti in complicate dispute territoriali con la Cina.

Tuttavia, presa Taiwan, il mondo occidentale non farà assolutamente nulla: nessuno può privarsi di relazioni commerciali/economiche/industriali con la Cina. La Russia rimarrebbe indifferente, come fece la Cina col caso Crimea. E’ difficile sottrarsi al BRI, non accettare i capitali ottenuti da AIIB, Pechino minimizza ma molte nazioni sono fortemente indebitate.

Semmai gli USA “nella partita Taiwan” si troverebbero ad essere “pressati da due parti” che possono ricattarli in ugual misura: Giappone e Cina dispongono delle stesse leve finanziarie sugli Stati Uniti, infatti sono i più grandi proprietari di titoli del tesoro USA (http://ticdata.treasury.gov/Publish/mfh.txt https://www.statista.com/chart/13329/major-foreign-holders-of-us-treasury-securities/)

Il peggioramento delle relazioni sino americane potrebbe accelerare la riunificazione, l’ultimo ostacolo sono il Giappone e la flotta navale statunitense. Comunque in caso di conflitto nessuno sa con certezza cosa potrebbe accadere. Ma davvero gli USA hanno voglia di sostenere un conflitto militare con la Cina? Oppure proverebbe a difendere l’isola ma senza sapere fin dove ci si potrebbe spingere e quale prezzo pagare in termini di vite umane?

Perdere Taiwan sarebbe un enorme danno geo-strategico per gli americani, ma ormai è sempre più chiara la spartizione del Mar Meridionale Cinese e del Pacifico. L’isola di Formosa è sempre più consapevole di questa evoluzione, Taiwan ancora adesso ha evitato di proclamare l’indipendenza.

Mentre aumenta nel Celeste Impero il rafforzamento economico e militare, in ugual misura aumenta il sentimento nazionale. Quindi i cinesi si aspettano nel prossimo decennio la risoluzione del caso Taiwan. Ormai nessuno più tollera questo strano indipendentismo. Se poi Washington sfidasse il concetto della riunificazione, ebbene il Partito cinese sarebbe obbligato a mostrare subito i muscoli: in Cina se non adotti misure drastiche immediate vieni considerato un debole. Quindi una eventuale provocazione americana porterebbe ad uno scontro sicuro. E i cinesi non sono di certo moderati come i russi. Se la Repubblica Popolare sente a rischio sovranità, territorio e sicurezza nazionale, non ci pensa troppo ad intervenire militarmente e i separatisti dello Xinjiang hanno già assaggiato la mano di Pechino.

Nel primo discorso di inizio 2019 https://www.aljazeera.com/news/2019/01/xi-change-fact-taiwan-part-china-190102030037389.html Xi Jinping rimarca che Taiwan è “una parte della Cina”, aggiungendo che non rinuncerà all’uso della forza militare (come un’opzione) per garantire la “riunificazione”. Nello stesso discorso emerge che l’isola è considerata solo una provincia separatista. Il giorno dopo il Presidente di Taiwan Tsai Ing-wen https://www.aljazeera.com/news/2018/10/china-war-asia-inevitable-181029195111603.html replica insistendo sul fatto che l’isola desidera mantenere le sue regole, la sua identità, vuole che vengano rispettati valori come la libertà e la democrazia.

Nel lungo termine la Cina arriverà probabilmente a mettere le mani su Taiwan, ciò che rimane da vedere è come ci riuscirà: l’opzione più verosimile è quella pacifica, contrattando una qualche sorta di status speciale per “l’isola ribelle” e gestendo la transizione con gli USA (lasciandogli un’uscita onorevole). Se invece i leader dei due Paesi saranno così sconsiderati da arrivare allo scontro frontale, non resterà granché della prospera Formosa. Al momento le pistole sono sul tavolo, verranno impugnate?