Il Mondo Dei Pazzi: Una giornata di Aziz – un trafficante di carne.

Disclaimer:
Si tratta ovviamente una opera di fantasia, che vuole solo rappresentare il “comune sentire “di una determinata zona del mondo, e dare un nuovo punto di vista al fenomeno dell’immigrazione.

UNA GIORNATA DI AZIZ.

Aziz si sveglia presto oggi, prima della preghiera del mattina, è una giornata calda d’estate, e il mare non è lontano.
La casa  grande, pulita ma non troppo lussuosa, come tutto, nel resto.
I bambini dormono ancora nelle loro camere. nella sala grande fa sfoggio un televisore grandissimo, e una antenna satellitare enorme e motorizzata spicca sul tetto.
Sua moglie silenziosa si muove per la casa come un’ombra, gli prepara un caffè con la nuova macchinetta a capsule e un piatto di temmine al miele, come colazione.<br />
Mangia con calma ascoltando una musica tradizionale, una canzone struggente che parla d’amore.
Sono sempre struggenti e parlano sempre d’amore, ovviamente, le canzoni che gli piacciono, ma lui è un uomo e non le canticchia, si limita ad ascoltarle in silenzio..
Non dice quasi una parola, saluta velocemente i bambini e  sistema la pistola d’ordinanza nel cinturone.

Aziz, infatti è un poliziotto , ultimo baluardo della legge, in quella zona.
Il governo centrale ormai è sparito, e quella piccola zona di  mare tra il confine con la Tunisia e la zona di Tripoli è contesa da diverse fazioni.

Appena uscito di casa lo salutano il suo vice, Taoufick e gli uomini della scorta.
Anche il suo vice è in divisa, mentre gli altri sono vestiti con una accozzaglia di vestiti diversi, però sono armati fino ai denti, persino con mitragliatrici pesanti e lanciamissili.
Il su vice prende posto alla guida del fuoristrada nuovo fiammante, mentre la scorta li segue dietro, a bordo di un pickup scassato.

C’è molto da fare, oggi, prima di tutto bisogna andare alla “prigione”.

La prigione è un casermone grandissimo, pieno zeppo di “clandestini”, ovvero emigrati di colore provenienti dal nordafrica.

Aziz, come gli altri libici, odia profondamente quelli che chiama i “negri”.
Lui è berbero, anche se parla solo l’arabo, e, come tutti gli arabi, è assolutamente razzista.

Per lui le centinaia di persone che stanno sedute in silenzio ad aspettare non sono esseri umani, ma solo “carne”.

Subito si reca nell’ufficio e ordina con fare perentorio al responsabile che nei campi a sud servono almeno cento braccianti.

Cento di quelli che sembrano più in forma vengono caricati a calci e spintoni su di un camion e mandati ai campi a lavorare, senza paga ovviamente, non serve neanche sorvegliarli più di tanto , dove volete che vadano?
Chiunque li vedesse potrebbe disporne a proprio piacimento, e l’idea di un arabo che li aiuta a fuggire, fornendogli cibo e aiuto è così inverosimile da sembrare una barzelletta divertente, quando ne parlano.
Oltre che “carne” i negri sono anche “braccia”.
Disperati provenienti dal centro Africa, reduci da un viaggio lungo  e pericoloso, sottoposti a mille angherie.

Ogni volta che attraversano un confine i poliziotti e i militari locali li perquisiscono, e gli portano via tutto quello che hanno, anche la vita, se protestano troppo.
Dopo anni di questo trattamento ormai sono tranquilli e silenziosi, sanno bene che non devono dire o fare niente, fino ad arrivare in Libia, dove si trovano rinchiusi in attesa di non si sa cosa.
Aziz certe volte vorrebbe avere profughi “ricchi” con cui trattare, come i siriani , i giordani e gli iraniani che arrivano nell’est del paese, con tanto di telefonino e parenti pronti a fare un bonifico, se serve.
E avendo soldi ai profughi “ricchi” non serve dargli da mangiare tutti i giorni.
Ma deve arrangiarsi con quello che ha, i “ricchi” li lascia ai maledetti cirenaici e ai salafiti dell’ISIS nel golfo della Sirte, sono loro ad occuparsene.

I “negri” dovranno lavorare anche anni per pagarsi il viaggio, se non hanno parenti  in patria in grado di versare qualche centinaio di euro via Western Union o  Qiwi.
Le donne, certo, sono avvantaggiate, anche se il metodo di “pagamento” scelto le lascia molto tristi.
Se sono carine si possono direttamente vendere a certi trafficanti, che pagano molto bene.

Anche prima della guerra, ai tempi di Gheddafi era più o meno così, gli immigrati centrafricani erano utilizzato come forza lavoro sottopagata e come domestici.
Ogni casa aveva il suo “negro” che cucinava, puliva e dormiva nel sottoscala.
“Ma prima eravamo ricchi”, pensa, e sospira.

Risolto il problema dei campi a sud è ora di andare nella “fabbrica”  di suo cugino, il piccolo  Mohammed.

Molti della famiglia sono persone importanti nella zona, funzionari, politici, e militari. tra gli altri, e Aziz è solo l’anello di una lunga catena, anche se un anello importante, per quello la sua casa non è così grande, e non ha nemmeno la piscina.
I figli sono buoni ed educati, ma certe volte gli danno il tormento, con la storia della piscina, come se non lavorasse già abbastanza, per loro, tutti i giorni.

I ricchi e i funzionari di alto livello dei tempi di Gheddafi sono spariti da tempo, hanno chiuso le loro ville, lasciandole ai custodi, hanno vuotato i conti in banca e hanno comprato casa in Tunisia, dove aspettano la soluzione dei tanti conflitti che interessano la Libia.
I funzionari “medi”, come Aziz si sono trovati al potere, e nelle zone contese come quelle dove abita lui, sono gli unici rappresentanti della “legge”.
I Tunisia, però, ci sono tanti loro amici e parenti ricchi e influenti ,gente che può anticipare grosse somme, se servono per lanciare un nuovo business, sono loro i primi anelli della “catena”, composto da membri della stessa famiglia o dello stesso clan.

Mohammed è stato sempre un tipo intraprendente, ha visitato molti altri paesi e ha visto i “gommoni” in Tunisa, dove ci sono tante fabbriche che li producono , soprattutto gestite da italiani.
E’ tornato a casa e ha messo su un piccolo capannone, una tettoia di lamiera, in verità, dove ha messo un insieme eterogeneo di libici e centroafricani a lavorare alla fabbricazione di quelle ridicole chiatte con un tubo intorno.
C’era anche un italiano schifiltoso, ricorda Aziz, uno che si lamentava sempre del cibo, che però dopo qualche settimana è tornato a casa.
” E si è pure accontentato di poco”, pensa Aziz, con un sorriso.

Oggi è un giorno importante, bisogna prepararsi e aumentare la produzione a dismisura.

Mohamed chiede:

“come mai? in tanti sono riusciti a pagarsi il viaggio?”
-“no, sono quei Takifir di Europei!”-
“cosa hanno combinato?”
-“con il volere di Allah (sempre sia lodato) arriveranno tanti soldi per combattere l’emigrazione , si parla di centinaia di milioni di dollari!”-
“sia lode ad Allah! e quando arriveranno?”
-“presto cugino, presto, pensa che quegli infedeli non sanno a chi dare i soldi, i cirenaici li vorrebbero tutti loro, mentre è chiaro che dovranno essere divisi tra le varie fazioni, e anche noi vogliamo la nostra parte!”-
“anche ai salafiti di Sirte pensi che daranno i soldi?”
-“si, è molto divertente,altrimenti anche loro riempiranno il mare di barconi”-
“che pazzi che sono questi senza Dio”

-“Basta chiacchiere, Mohammed, al lavoro! Ialla!”

E’ ora di ripartire, ormai è pomeriggio e si riparte, anche gli uomini della scorta li seguono, avvolti da una nube di fumo di sigaretta.

E si arriva al porto, due gommoni sono pronti e un gruppo di africani è pronto a partire.

Bastonate e i fucili ben visibili aiutano a caricare i gommoni in fretta, la “carne” non può portare niente, neanche un sacchetto, così da poter far entrare un uomo o due in più, solo i vestiti che hanno addosso e nient’altro.
Una volta caricato si spiega tutto al pilota, uno dei profughi che si presta a condurre l’imbarcazione.

Gli si spiega come accendere il motore, come pompare la benzina e gli si dà una bussola, e si indica la direzione da seguire.

Nient’altro.

Ormai i toni sono pacati, i “negri” sono a bordo e sono stranamente silenziosi, e sono lì seduti, a guardare il vuoto con gli occhi che sembrano grandissimi.
Aziz a volte si chiede cosa pensano, o se pensano davvero, i “negri”.

Urla :-“Se Allah vuole stasera sarete in Europa!”-

E qualcuno degli occupanti delle imbarcazioni si scuote e ha un cenno di esultanza.

Rimane il tempo per una ultima sigaretta, e sul molo, di fianco alla motovedetta del cugino Tarek.
Taoufick, il vice chiede:
“Allah è grande! E anche questa è fatta, ma cosa ne faremo dei negri quando avremo avuto i soldi?”

-“nei campi c’è sempre lavoro, lo sai , e quelli in più faremo come prima, lasceremo i loro corpi nel deserto”-.

Poi si torna a casa, ma Mohammed ha avuto un’altra idea, e prima di cenare bisogna parlarne.

I papaveri da oppio sono molto delicati e soffrono il sole torrido della Libia.
Mohammed dice che però, coltivandoli in primavera e in autunno e con delle serre… si può fare.

-“perché no, così presto farò contenta mia moglie e ci prenderò finalmente quella villa a Tunisi.
Con la piscina”-

Mohammed parla anche degli arbusti di coca e delle foglie di Qat, e Aziz pensa che suo cugino ha veramente troppa fantasia, ma non dice niente, se Allah vuole riuscirà anche in questa impresa.

Dopo cena, aver giocato con  bambini e aver visto la televisione finisce così la giornata di Aziz.
Va a letto presto, domani è un altro giorno e ci sono tante cose da fare.

Nota: continuo a ripetere che trattasi di un lavoro di fantasia, volto solamente a farvi capire la situazione, perlomeno quella dei profughi centrafricani.
Verissimi, purtroppo sono gli accenni al razzismo, al trattamento disumano cui sono sotto posti i centro africani e la voglia di “diversificare”  il business da parte dei trafficanti stessi, che non sono altro che le autorità locali.

Nelle zone del Donbass controllato momentaneamente dall’esercito ucraino e ancora non liberate dai separatisti pare che sia già cominciate in grande stile la coltivazione dei papaveri, gli “Aziz” di tutto il mondo pensano sempre nello stesso modo.