Trump: Isis sconfitto, ritiro dalla Siria. Storica decisione e stop alle “endless wars”?

We have defeated ISIS in Syria, my only reason for being there during the Trump Presidency.

La decisione annunciata via twitter era probabilmente inaspettata e non è stata presa proprio bene dai collaboratori più stretti di Trump in materia di politica estera. Agende sconvolte e tutte le carte in tavole scombinate: “portare a casa le truppe americane, via da un incasinatissimo groviglio”. https://www.nytimes.com/2018/12/19/us/politics/trump-syria-turkey-troop-withdrawal.html Una vera decisione “presidenziale” quindi, che ribalta la decisione illuminata di Obama di impegnarsi in Siria per (far finta di) combattere l’Isis, ma anche una decisione che era già stata abbondantemente preannunciata da Trump in campagna elettorale.

Interessante leggere quanto sia curiosa la storia di come sia nata questa decisione. Secondo quanto riportato da AP, è stato il presidente turco Erdogan a ricordare con cortesia a Trump che l’ISIS – motivo della presenza americana in Siria – era ormai sconfitto e in via di estinzione. Affermazione confermata nella sostanza a Trump dai suoi stessi collaboratori sul tema Siria, sorpresi dalla piega della conversazione e un filo sconvolti dal suo esito, per loro imprevedibile. https://apnews.com/ec2ed217357048ff998225a31534df12?utm_source=Twitter&utm_campaign=SocialFlow&utm_medium=AP

Ecco quindi che, dopo “storiche vittorie contro l’ISIS”, è ora di portare a casa le truppe americane dalla Siria. Trump:  https://mobile.twitter.com/realDonaldTrump/status/1075528854402256896

Sulle “storiche vittorie” ci sarebbe da sollevare qualche piccola osservazione, ma non è questo il momento per perdersi in quisquilie; se ne occuperanno in seguito gli studiosi di storia scoprendo forse qualche influsso surrealista sulla versione di cui sopra, ma andiamo avanti. Non si era ancora mosso uno zaino, ma già un sacco di gente ci rimaneva molto male. Vediamo qualche reazione significativa.

LE REAZIONI

Il senatore Lindsey Graham non è per niente felice che i duemila soldati americani tornino a casa. Colmo di tristezza per il ritiro, parla di “…una macchia sull’onore degli Stati Uniti”:  https://twitter.com/thehill/status/1075873729060659205   Forse non è molto contento dell’andamento delle iscrizioni al suo fan-club “Assad-must-go”, ma è solo un’ipotesi.

Sconvolta la Nuland – famosa per il suo mitico “Fuck the EU” ai tempi della crisi Ucraina – che delinea una situazione di incasinamento immane in cui i duemila soldati americani sembrano tenere in scacco 20.000 o addirittura 30.000 miliziani dell’Isis.

Il tutto tra russi pronti ai festeggiamenti e iraniani in procinto “di dilagare” saltando fuori da tutte le parti. https://www.washingtonpost.com/opinions/in-a-single-tweet-trump-destroys-us-policy-in-the-middle-east/2018/12/19/eb423434-03da-11e9-b5df-5d3874f1ac36_story.html?noredirect=on&utm_term=.cf126e24446a

Jeb Bush – governatore della Florida e figlio del presidente George W. Bush – è invece più sintetico e ci tiene a far sapere che “Trump è male per Israele”.

Appare dispiaciuta e confusa anche un’altra stella dis-polare, il presidente Macron. Struggente l’articolo a firma dell’immarcescibile Bernard-Henri Lévy in cui vengono tessute epiche lodi dei curdi, unici e veri “buoni” della regione, rispettosi delle minoranze e delle religioni e infine, dettaglio chiave, paladini della parità dei “gender”. https://www.washingtonpost.com/opinions/its-not-too-late-for-trump-to-rethink-a-dangerous-betrayal-of-us-allies-in-syria/2019/01/03/fb86739c-0f69-11e9-84fc-d58c33d6c8c7_story.html?utm_term=.e4ac6c6ff4fa

Come si vede, è evidente un certa distanza tra le priorità del Presidente e quelle dei suoi oppositori, scossi al pensiero che qualche guerra si chiuda; i motivi alla base di tale frattura emergono con più chiarezza analizzando la lettera di dimissioni del Segretario alla Difesa Gen. Mattis, sicuramente una delle conseguenze politiche più significative della decisione di Trump. Dopo aver constatato il forte accento dato dal Presidente alla vittoria sull’ISIS e al rientro dei soldati americani, Mattis appare più vicino al rispetto dei patti con gli alleati locali piuttosto che agli interessi americani. https://www.nytimes.com/2018/12/20/us/politics/letter-jim-mattis-trump.html

In merito alla dimissioni di Mattis segnalo un paio di articoli interessanti provenienti da fonti vicine sia al Presidente sia all’opposizione, che smontano la tesi di una decisione presa da Trump secondo l’umore della mattinata. Da entrambi si ricava come Mattis avesse già ricevuto da mesi precise direttive da Trump sulla linea da seguire in merito al disimpegno in Siria, direttive che sarebbero state poi disattese. Interessante la posizione della testata The Hill, spesso critica verso la presidenza:“ Mattis non ha capito che Trump vuole sgomberare i ponti prima dello scontro con la Cina, chiudendo il discorso in Siria, dove non si può vincere, e in Afghanistan dove abbiamo già perso”. https://thehill.com/opinion/national-security/422696-The-education-of-James-Mattis https://www.theamericanconservative.com/articles/trump-scores-breaks-generals-50-year-war-record-syria-mattis-dunford/

SVILUPPI

Ma si stanno davvero ritirando gli americani? Qualcosa si è mosso pare, ma con molta calma. Vedremo. https://southfront.org/u-s-forces-withdraw-from-one-of-their-bases-in-syria/ Tuttavia la situazione in Siria si sta evolvendo velocemente, con Mosca ormai diventata il punto focale dell’attività politica: turchi, iraniani, varie sigle di curdi, tutti in viaggio verso la capitale russa. https://www.breitbart.com/national-security/2019/01/02/russia-mediate-talks-between-syrian-kurds-assad-regime/

Allo stesso tempo Iraq e Siria snelliscono le procedure per gestire operazioni aeree irachene di contrasto all’ISIS sull’estremo est siriano, mentre è sempre attivo il senatore americano Graham a Washington che spinge per fare melina sul ritiro e ribadisce la sua preoccupazione per Israele. https://www.apnews.com/168b04e1c2fe4f3fa1b3a599a6b7b9ca

Situazione frizzante per i curdi che, dopo aver tradito i siriani (e iracheni?), si ritrovano piantati dagli americani, con i turchi che non vedono l’ora di intavolare calorose trattative con loro; trattative a cui i turchi si stanno preparando con la dovuta cura, posizionando la giusta dose di truppe corazzate al confine con la Siria. Vedremo come ne verranno fuori i curdi, ma intanto danno fondo alle loro risorse: la loro richiesta a Macron di realizzare una no fly-zone sulla Siria orientale è davvero una piccola perla. https://sputniknews.com/middleeast/201812211070897956-sdc-syria-no-fly-zone/

Delusi pure tutti quelli che si aspettavano che Assad lanciasse il tradizionale attacco chimico contro tutto e tutti, in modo da ribaltare la situazione che lo vede vittorioso in una clamorosa autodistruzione. Al momento la replica della sceneggiata dell’aprile scorso non è ancora andata in scena. Giusto per comodità, teniamo a portata di mano qualche link: https://www.nytimes.com/2018/04/08/world/middleeast/syria-trump-assad.html

https://www.independent.co.uk/voices/syria-chemical-attack-gas-douma-robert-fisk-ghouta-damascus-a8307726.html

https://www.rt.com/news/424563-douma-boy-chemical-video/

https://www.maurizioblondet.it/non-ce-alcun-attacco-chimico-dicono-giornalisti-americani-britannici-siria/

CONSIDERAZIONI

Adesso qualche considerazione in più sul ritiro. C’è qualche motivo che va oltre il “Make America Great Again” (MAGA), motto della campagna elettorale di Trump? Il MAGA è forse un pretesto per evitare di essere coinvolti in una sconfitta plateale e storica ad opera di siriani, russi e alleati? Oppure c’è altro, magari delle scelte strategiche o qualche mezzo scambio sottobanco con gli altri attori? Vediamo un ultimo tweet:

Vite americane preziose, come già ribadito in merito al ritiro delle truppe, i soliti mai contenti da cercare in una ristretta cerchia di candidati, ma anche migliaia di miliardi di dollari in ballo. Per pura combinazione, qualche giorno dopo la decisione di Trump, salta l’accordo bipartisan per il rifinanziamento del debito statale USA e parte il cosiddetto shutdown che dura tutt’ora. I Democratici stanno puntando i piedi sul muro con il Messico e non concedono un dollaro di fronte alle richieste di Trump per 5-6 miliardi. https://www.latimes.com/politics/la-na-pol-congress-government-shutdown-20181221-story.html

Un ripicca per il ventilato stop alla Guerra senza Fine? Forse. Però gli argomenti a favore di un disimpegno in Siria e in Afghanistan – a fronte di un debito di 22.000 miliardi di dollari – cominciano ad avere un certo fondamento:

  • 50 Miliardi USD/anno è il costo dell’impegno in Afghanistan, soldi da spendere in USA in strade, ponti, infrastrutture;
  • impossibilità di una soluzione militare in Siria e Afghanistan;
  • dopo 17 anni in Afganistan e aver più volte preannunciato il ritiro, non rimane alcuna credibilità da far pesare in una trattativa con gli avversari;
  • Isis sconfitto in Siria, che siano altri a continuare l’opera;
  • contenere l’Iran non era la missione dell’intervento in Siria.

Tutte valide motivazioni, ma che forse sono solo conseguenze di uno stato di cose determinato dal problema principale, che è diventato imbarazzante, questo:

https://fred.stlouisfed.org/series/GFDEBTN

E` possibile che, anche a fronte degli ultimi avvenimenti, in alcuni ambienti politici americani stia prendendo forma una consapevolezza più profonda del problema del debito federale e dell’impatto che può avere sulla nazione. Che sia quindi arrivato il momento in cui la stampante di infiniti bigliettoni verdi ha raggiunto la riserva dell’inchiostro? Allora forse la “scelta” del disimpegno militare è paragonabile alla “libera” scelta di quei comandanti di navi a vela di qualche secolo fa, che fuggivano dalla tempesta navigando in direzione quasi obbligata, per non rischiare la nave e la vita stessa di quanti a bordo.

Eugenio F. (Mr.Y)