Lo shale oil americano è una bomba ad orologeria

BY PAUL C. F. – Nell’ultimo decennio gli Stati Uniti sono riusciti nella notevole impresa di invertire il trend negativo della loro produzione petrolifera che dagli inizi degli anni ’70 era in continuo calo e aveva reso il Paese sempre più dipendente dalle importazioni estere. L’elemento chiave che ha permesso agli USA di ritornare ad essere uno dei principali produttori mondiali di petrolio superando i 12 milioni di barili al giorno, è lo sfruttamento del petrolio di scisto o Shale (Tight) Oil.

Questi risultati hanno permesso al Governo statunitense di fare roboanti dichiarazioni sulla futura “Golden Era of American Energy”, arrivando ad affermare la supremazia energetica degli USA. https://www.whitehouse.gov/briefings-statements/president-donald-j-trump-unleashing-american-energy-dominance/

Tuttavia, per quanto impressionante, lo stupefacente exploit produttivo dello shale oil americano poggia su due pilastri terribilmente fragili: uno di tipo geologico e l’altro di tipo finanziario. Questo due intrinseche debolezze dell’industria estrattiva americana rischiano molto presto di sgonfiare, se non di schiantare, le produzione di petrolio di scisto, con ripercussioni non indifferenti sull’economia statunitense. Potrà sembrare un’affermazione estrema, ma osservando da vicino l’industria dello shale oil le preoccupazioni appaiono più che giustificate.

Cominciamo dall’aspetto geologico: L’estrazione del petrolio di scisto ha alcune caratteristiche che la differenziano dall’estrazione del petrolio c.d. convenzionale. Semplificando molto possiamo dire che l’estrazione convenzionale consiste nell’effettuare una perforazione verticale fino a raggiungere un unico deposito di petrolio, una volta raggiunto il deposito, l’oro nero comincia a scorrere verso l’alto lungo il canale di perforazione grazie alla pressione interna e può essere raccolto (negli anni la pressione cala e la fuoriuscita deve essere agevolata tramite dei sistemi di pompaggio). Nell’estrazione dello shale oil viene utilizzata la tecnica del Fracking o fratturazione idraulica, con la quale è necessario effettuare delle perforazioni ad alta profondità fino a raggiungere una c.d. shale formation, la perforazione deve fare poi una curva in orizzontale e proseguire all’interno della formazione. Una volta terminata la perforazione, lungo il canale va inserito un mix di acqua, sabbia e sostanze chimiche (quest’ultime protette da brevetto e non divulgabili) ad altissima pressione, la pressione frantuma la roccia e tramite le fessurazioni che si formano il metano e il petrolio contenuti nella roccia sotto forma di piccole “bolle” può fluire lungo il canale ed essere pompato in superficie. Questa forma di estrazione ha però un grosso svantaggio: la produttività di un pozzo ha mediamente un calo del 70% nell’arco dei primi 2 anni. Come si evince dal grafico qui sotto che rappresenta la produzione del bacino dell’Eagle Ford.

Proprio per queste caratteristiche l’estrazione dello shale oil è caratterizzata da elevatissimi costi economici per la sola messa in opera del pozzo, a causa del materiale necessario alla lunghissime perforazioni, l’apporto di acqua e sabbia dall’esterno e i costi energetici per indurre la fratturazione idraulica. Inoltre, dato che la vita utile di un pozzo è molto breve, è necessario perforare in continuazione nuovi pozzi ad un ritmo sostenuto per mantenere costante la produzione. Questo ha fatto si che la densità dei pozzi in alcuni campi petroliferi sia impressionante, come nell’immagine qui sotto.

Il problema ora è che negli ultimi 5-6 mesi del 2019 la produzione di petrolio sembra avere raggiunto un punto di stallo, ovvero non c’è più stato quel continuo aumento di estrazioni che ha caratterizzato l’industria dello shale fin dalla sua nascita. Infatti i primi bacini americani a venire sfruttati hanno già raggiunto il loro picco produttivo e sono in stallo, l’unico grande bacino che negli ultimi due anni ha continuato ad aumentare la produzione in maniera significativa è il Permian in Texas. Anche la scoperta di nuovi bacini di estrazione sembra segnare il passo.

https://www.bloomberg.com/news/articles/2019-10-14/peak-shale-how-u-s-oil-output-went-from-explosive-to-sluggish

A tutto ciò va aggiunto che lo stato della California ha approvato una moratoria per i nuovi pozzi a causa di alcuni incidenti ambientali con enormi fuoriuscite di greggio.

https://www.nationofchange.org/2019/11/20/climate-groups-applaud-newsoms-temporary-fracking-ban-in-california-but-say-other-critical-next-steps-still-needed/

Questo ci porta al secondo grave problema dell’industria dello shale oil: l’estrema fragilità finanziaria.

Partiamo subito da un dato sconcertante, il 90% delle imprese attive nel settore non ha mai registrato un profitto netto!

https://ieefa.org/analysis-shows-u-s-shale-drillers-still-not-profitable/

Per quanto possa sembrare incredibile l’intero settore ha continuato per anni a finanziarsi a debito. Ciò è dovuto, come visto sopra, sia agli altissimi costi operativi per mantenere in attività i pozzi, che, agli attuali prezzi del petrolio, non permettono nemmeno di raggiungere il break even. In pratica le imprese del settore hanno continuato per anni a prendere denaro in prestito sia per finanziare le proprie operazioni sia per rifinanziare il debito pregresso. Denaro generosamente offerto dalle banche, che potendo prendere a loro volta a prestito a tassi bassissimi erano ben disposte a prestare a tassi piuttosto onerosi. Va infatti considerato che la maggior parte delle imprese attive nello shale sono di dimensioni medio piccole e non possono avere le generose linee di credito dello majors del petrolio, pertanto le banche concedono loro dei c.d. revolving loans , che a fronte di una certa flessibilità nel ritiro del credito e nei pagamenti hanno tassi d’interesse che vanno dal 5-6% al 10-12%. Ciò ha fatto si che molte imprese devolvano anche il 30% dei loro profitti per ripagare i finanziamenti. Dato che però i crediti vengono concessi sulla base delle riserve petrolifere accertate e future nonché sui prezzi presenti e futuri dell’oro nero, la situazione si sta rapidamente deteriorando, e wall street è sempre più restia a concedere fondi con la stessa disinvoltura del passato. I dubbi sulla profittabilità del settore si moltiplicano, anche sulla stampa mainstream, che fino a poco tempo fa magnificava l’industria del settore, e il flusso di denaro comincia a diminuire vistosamente. —- https://www.forbes.com/sites/maxfrumes/2016/02/16/draw-first-ask-questions-later-why-oil-and-gas-companies-are-fully-tapping-their-revolvers-before-restructuring/#7f3edc5b697b —- https://www.reuters.com/article/us-usa-oil-lending/small-oil-and-gas-companies-get-cold-shoulder-from-large-banks-idUSKBN1X70BF

Naturalmente le aziende dello shale si finanziano anche attraverso l’emissione di azioni e obbligazioni, queste ultime sono una montagna crescente nell’ordine dei 230 miliardi di $ solo l’anno prossimo, che nei prossimi anni dovranno essere ripagate dalle imprese emittenti. Senza una crescita continua e sostenuta della produzione e molto difficile che le aziende dello shale riusciranno ad onorare i loro impegni. A causa dello scetticismo che la finanza sta dimostrando verso le obbligazioni delle imprese estrattive, queste ultime sono arrivate addirittura ad emettere bond mettendo a garanzia la stessa proprietà dei pozzi più redditizi, obbligazioni che rendono coupon del 6%, una mossa che indica tutta la sfiducia verso la capacità di rimborso delle shale company. —- https://finance.toolbox.com/article/fracking-companies-innovate-on-securitization-by-tying-bonds-to-specific-wells

Tutto questo ha portato ad una impressionante “moria” di imprese estrattive nel 2019 (più di 50 solo negli ultimi 9 mesi hanno dichiarato bancarotta), e molte altre sono attese per il 2020. Un buona sostanza molte aziende del settore sono un vero e proprio schema Ponzi, che prende a prestito per finanziare il debito precedente, sostenute in ciò dall’aspettativa che un giorno riusciranno a produrre profitti e dal fatto che la produzione americana ha continuato a salire a ritmi sostenuti per anni.

Ma come si arrivati a tanto? Semplicemente tutti gli attori sulla scena lo hanno voluto fortemente:

  • Il governo degli Stati Uniti: Fin dai tempi di Nixon (quando la produzione petrolifera ha raggiunto il picco nel 1970) ogni presidente americano è stato ossessionato dall’indipendenza energetica, e ora che è appare a portata di mano, essa rappresenta una carta strategica fondamentale sullo scacchiere internazionale, e nessuno governo, per quanto effimera, vi vorrebbe rinunciare.
  • Gli Stati e le contee dove si trovano i giacimenti, i quali, oltre ad incassare i diritti di sfruttamento, possono giovarsi del grande indotto economico e occupazionale portato dalle imprese estrattive. Una discreto fiore all’occhiello per ogni governatore o sindaco.
  • Tutto il settore dei servizi estrattivi: Dato che impiantare un pozzo shale è cosa alquanto complessa, esisto delle imprese specializzate nelle prospezioni, messa in opera e fornitura di expertise, i due giganti del settore sono Schlumberger e Hulliburton. Il loro interesse è che sempre più pozzi vengano messi in opera, poi la redditività dell’impresa non è affare loro.
  • Le aziende stesse ed i lavoratori del settore, che con il finanziamento continuo hanno potuto continuare a produrre nonostante tutto.
  • Last but not least, il settore bancario e finanziario: Le banche hanno potuto lucrare sostanziosi interessi e la finanza ha potuto scambiare e rivendere come se fossero oro azioni e obbligazioni delle shale company.

https://wolfstreet.com/2019/11/23/fracking-blows-up-again-phase-2-of-the-great-american-shale-oil-gas-bust/

Sebbene sia forse presto per decretare la morte dell’industria dello shale oil, sarà interessante osservare nei prossimi mesi l’andamento della produzione statunitense , se il declino produttivo continuerà (e i dati indicano un calo delle nuove perforazioni di pozzi), la finanza fuggirà a gambe levate, lasciando morire molte aziende nel settore, naturalmente dopo aver rifilato i bond e le azioni ad altri soggetti, come investitori privati o fondi pensione (vi ricorda qualcosa?).

Senza dubbio osserveremo nei prossimi mesi tutta una serie di fusioni e acquisizioni tra le shale company al fine di rafforzare la loro posizione creditizia, inoltre la major del petrolio come Exxon e Chevron riusciranno a comprare i pozzi più redditizi per un tozzo di pane dalle piccole aziende che falliranno. Se poi il crollo produttivo dovesse essere disastroso, il governo americano sarà costretto ad effettuare una qualche forma di salvataggio dell’intero settore, dato che il petrolio è una risorsa troppo importante e strategica per rinunciarvi completamente.

Quindi nel 2020 tenete d’occhio il petrolio americano, e nel frattempo fate scorta di pop corn.

PAUL C. F.