Le corazze nella prima guerra mondiale. Ferruccio Farina.

Questa scena del famoso film Uomini Contro fa vedere dei fanti mandati in missione , a tagliare i fili dei reticolati.
Uno direbbe, ma mandavano davvero dei soldati fuori con una corazza del genere?

La risposta è : si e no.

Le corazze del film , che venivano chiamate Fasina si riferivano probabilmente alle corazze Farina, una fabbrica milanese, gestita dall’omonimo ingegnere Ferruccio Farina, erano certificate e fermavano, più o meno le pallottole.
Più o meno , infatti se il calibro era appena superiore al minimo omologato o se la distanza era inferiore ai cento metri , il colpo passava, eccome.

ecco un estratto del libro “un anno sull’altopiano”, di Emilio Lussu

“Il comandante della divisione volle dirigere personalmente i preparativi
dell’azione. Fin dalle prime ore del giorno, egli era in linea, nelle
trincee (…). Una corvée portò in trincea diciotto corazze “Farina” (…).
Queste differivano dalla corazza del (…) maggiore, la quale, a scaglie di
pesce, leggera, copriva solo il torso e l’addome. Le corazze “Farina” erano
armature spesse, in due o tre pezzi, che cingevano il collo, gli omeri, e
coprivano il corpo quasi sino alle ginocchia. Non dovevano pesare meno di
cinquanta chili. Ad ogni corazza corrispondeva un elmo, anch’esso a grande
spessore. Il generale era ritto, di fronte alle corazze (…) Ora parlava,
scientifico: ‘Queste sono le famose corazze “Farina”‘ (…) spiegava il
generale ‘che solo pochi conoscono. Sono specialmente celebri perché
consentono, in pieno giorno, azioni di una audacia estrema. Peccato che
siano così poche! In tutto il corpo d’armata non ve ne sono che diciotto. E
sono nostre! Nostre!’ (…)
Un soldato commentò a bassa voce: ‘Io preferirei una borraccia di buon
cognac’.
‘A noi soli’ continuava il generale ‘è stato concesso il privilegio di
averle. Il nemico può avere fucili, mitragliatrici, cannoni: con le corazze
“Farina” si passa dappertutto’.
(…) Il reparto dei guastatori era stato preparato dal giorno prima e
attendeva d’essere impiegato. Erano volontari del reparto zappatori,
comandati da un sergente, anch’egli volontario. In pochi minuti furono in
trincea, ciascuno con un paio di pinze. Essi indossarono le corazze (…).
Lo stesso generale si avvicinò a loro ed aiutò ad allacciare qualche fibbia.
‘Sembrano guerrieri medioevali’ osservò il generale. I volontari non
sorridevano. (…) Gli altri soldati, dalla trincea, li guardavano con
diffidenza. Accanto al cannone praticammo un’altra breccia, nella trincea.
Il sergente volontario salutò il generale. Questi rispose solenne, dritto
sull’attenti, la mano rigidamente tesa all’elmetto. Il sergente uscì per
primo; seguirono gli altri, lenti per il carico d’acciaio, sicuri di sé, ma
curvi fino a terra, perché l’elmetto copriva la testa, le tempie e la nuca,
ma non la faccia. Il generale rimase sull’attenti finché non uscì l’ultimo
volontario, e disse al colonnello, grave: ‘I romani vinsero per le corazze’.
Una mitragliatrice austriaca, da destra, tirò d’infilata. Immediatamente,
un’altra, a sinistra, aprì il fuoco. I volti (dei soldati in trincea) si
deformarono in una contrazione di dolore. Essi capivano di che si trattava.
‘Avanti!’ gridò il sergente ai guastatori. Uno dopo l’altro, i guastatori
corazzati caddero tutti. Nessuno arrivò ai reticolati nemici. ‘Avan…’
ripeteva la voce del sergente rimasto ferito di fronte ai reticolati.
Il generale taceva. I soldati del battaglione si guardavano terrorizzati.
Che cosa, ora, sarebbe avvenuto di loro?
Il colonnello si avvicinò al generale e chiese: ‘Alle nove, dobbiamo
attaccare ugualmente?’
‘Certamente’ rispose il generale, come se egli avesse previsto che i fatti
si sarebbero svolti così come in realtà si svolgevano ‘Alle 9 precise. La
mia divisione attacca su tutto il fronte’.
Il capitano Bravini (…) disse: ‘Adesso tocca a noi’. Staccò la borraccia e
la bevette tutta”.



Le corazze Farina erano queste:

proteggevano le spalle e la parte alta del torace, e erano corredate con un elmetto corazzato.
Il peso totale, per quei pochi pezzi, era di circa venti chili, e la protezione alle pallottole era veramente minimale, più che altro servivano a proteggere da schegge e colpi di rimbalzo.

Una cosa che scoprirono i soldati nel corso della prima guerra mondiale era che i colpi di cannone scioglievano letteralmente il terreno , ma il filo spinato rimaneva perlopiù intatto, solo un colpo potentissimo e perfettamente centrato poteva danneggiarlo.
La terra e la roccia si frantumavano sotto le cannonate, e il terreno era pieno di buche e di rocce sparse.

I genieri , erano costretti a strisciare sul terreno di notte e quando c’era la nebbia, con la corazza per proteggerli dalle schegge, per tagliare il filo spinato a mano e  permettere ai soldati di avanzare.

E le corazze del film?

Quelle sono le Brewster Body Armor, realizzate dagli Inglesi, che pensavano la guerra moderna ancora come una parata di fanti che si fronteggiavano, su di un terreno piatto come un campo da calcio.

Loro sì che le provarono , ma smisero subito.

E Farina?

Le corazze erano veramente poco funzionali e , tra pinze, corazze ed altro il soldato doveva strisciare a terra con circa trenta chili addosso.

Di queste ritornarono intatte veramente poche , perlo più finivano disperse sul campo di battaglia insieme al soldato che c’era dentro.

Farina si arricchì anche con questi modelli:

Questo era il modello Corsi, venduto in due versioni , a 90 e centoventi lire cadauna, tipicamente acquistata dai familiari degli ufficiali e spedita al fronte, “garantite” resistenti ai proiettili da certificati balistici.
Il costo era l’equivalente di millecinquecento euro attuali. per circa otto chili di lamiere sagomate.
Dopo la guerra ci fu una certa polemica, alcuni parenti dei molti deceduti asserirono che le corazze non funzionavano.
Si sa, eravamo in Italia e chi trovò la corazza difettosa non è tornato indietro……..
Pare che i test di resistenza i proiettili fossero stati effettuati da distanze enormi, con pallottole di basso calibro.
Concludendo voglio far capire che l’imbecillità e le mazzette nelle forniture militari non sono una scoperta recente.

RIpensandoci dobbiamo pensare alla mentalità dell’epoca, ancora legati a stili di combattimento arcaici, che prevedevano cariche di cavalleria alla sciabola, perfettament einutili contro le mitragliatrici e le trincee.

Nel loro immaginario le corazze funzionavano eccome,e contro avversari armati di pesanti spadoni avrebbero anche funzionato.

Un pensiero avrebbe dovuto venire in mente agli sventurati dotati di corazza, mentre strisciavano verso le trincee:

“come mai da centinaia di anni le corazze metalliche non vengono più usate in battaglia?”

Pensateci, è una bella domanda.

Perlomeno dal 1600 è cominciato a diminuire, fino a scomparire, l’uso di corazze in battaglia, per via dell’introduzione delle armi da fuoco.

Erano poco precise e con poca gittata, ma i vecchi archibugi e moschetti sparavano comunque grosse palle di piombo a discreta velocità.

I militari si accorsero che le corazze rinascimentali, fatte in un metallo non certo eccelso come quelli moderni, si deformavano e finivano spesso con peggiorare le ferite, incuneandosi all’interno del corpo.

L’effetto delle corazze individuali modello Corsi era soprattutto psicologico e una falsa sensazione di sicurezza del possessore potevano facilmente dar luogo a tragici “incidenti”