La “guerra del petrolio” sta arrivando a nuovi livelli, l’Arabia Saudita spara a palle incatenate contro i produttori concorrenti…

Alla fine il prezzo del petrolio continua a calare, grazie alla crisi internazionale (ehi, c’è la crisi, calano i consumi, non solo in Italia, sapete?) e alla decisione dei sauditi di non ridurre la produzione di petrolio.

Molti pensano ad un accordo nascosto con gli Usa, che può anche esserci , per mettere in difficoltà altri paesi produttori del mondo, tra cui il Venezuela e la Russia, paesi che dipendono fortemente dalle esportazioni di greggio.

Un grafico vale più di mille parole, ecco l’aumento della produzione netto dei paesi produttori non Opec negli ultimi due anni, e la previsione relative al prossimo anno.
Non ci vuole un genio per notare che la parte del leone l’hanno fatto gli USA, con lo sfruttamento del famoso “shale oil” e,  di seguito, ma molto lontano il Canada, con lo sfruttamento delle sabbie bituminose.
Di cosa si tratti lo “shale oil” ne ho già parlato, ovvero si trivella in orizzontale, si arretra leggermente la trivella, si inserisce una piccola carica esplosiva e si fa saltare la roccia intrisa di petrolio e gas, poi si immette acqua mista a sabbia ed altre sostanze chimiche per “aprire i pori” della roccia, si rimpompa l’acqua mista a petrolio e gas e si ripete il ciclo.
Le sabbie bituminose sono giacimenti di sabbia in superficie che si scava letteralmente con dei bulldozer.
Dalla sabbia trattata in degli impianti industriali si ricava prima una specie di denso catrame, poi  il petrolio vero e proprio.
Non ci vuole un genio per capire che questo sistema è esageratamente più costoso del metodo tradizionale, che consisteva nel trivellare, verificare se il petrolio c’è e poi rimanere tranquilli anche per decenni a contare i soldi.

 graph of average oil production per well during the first 48 months of operation, as explained in the article text

Altro grafico, per darvi una idea, quello del rendimento medio dei pozzi nel giacimento Shale USA di Eagle Ford.
Migliorie tecnologiche a parte, possiamo notare un interessante fenomeno, all’inizio il rendimento del pozzo è altissimo, e cala del settanta per cento dopo pochi mesi solamente.

Di solito per arrivare ad un calo del settanta per cento in un pozzo tradizionale occorre aspettare circa venti anni…
E il tasso di estrazione in aumento dei giacimenti shale americani si scopre essere dovuto prima di tutto al forsennato ed illogico aumento dei pozzi e poi all’aumento delle sostanze chimiche e della sabbia iniettate nel suolo, ad una pressione maggiore.
In pratica si cerca di estrarre subito tutto il “succo”, per poi andare avanti.
Ne consegue che il rendimento dei pozzi cala ancora più velocemente.
Qualcosa non mi torna, come fa questo sistema di estrazione ad essere anche solo lontanamente conveniente rispetto ai pozzi tradizionali, pur se posti in zone disagiate come l’Artico?
Non può, semplicemente, occorrono meno investimenti iniziali, meno attrezzature costosissime e piattaforme, ma il costo di trivellazione è di decine di volte più elevato.
Malgrado questo i giacimenti shale americani, fosse grazie anche all’aiuto del governo , hanno assorbito buona parte dei fondi destinati all’investimento petrolifero mondiale.
Anche i produttori tradizionali hanno bisogno di investire, anche solo per mantenere il tasso di estrazione, e la Russia ha anche un “piccolissimo” problema di embargo.
I sauditi non hanno tutti quei problemi, ma si sono visti ridurre gli acquisti dagli Usa e altri paesi produttori hanno immesso sul mercato parte del greggio che prima era destinato agli Stati Uniti.
Malgrado tutto i prezzi erano rimasti alti, fino ad ora, e sarebbe forse bastato a loro ridurre la produzione per continuare a guadagnare.
I sauditi lo hanno candidamente ammesso, sono disposti a mantenere il prezzo del greggio intorno agli ottanta dollari al barile anche per uno o due anni, se necessario.
Più che un proclama una vera e propria minaccia.
Evidentemente i sauditi sono riusciti ad avere accesso ad informazioni riservate, ovvero il costo di produzione del greggio in alcuni dei  giacimenti shale americani, che, pare, sia intorno agli ottanta dollari, o poco meno.
Ne consegue che il denaro investito in quei pozzi non potrà essere rimborsato, o darà un guadagno molto basso, e ne conseguirà un drammatico calo degli investimenti.
Al drammatico calo degli investimenti seguirà un ancora più drammatico calo della produzione, e i prezzi del greggio schizzeranno verso l’alto nuovamente.
Gli americani continueranno a utilizzare petrolio e a fare il pieno nelle automobili, solo che una percentuale maggiore di greggio proverrà dall’estero.
Un altro problemino sarà che il deficit estero Usa continuerà ad aumentare più di prima, e i posti di lavoro e le aziende del settore shale… , beh, lo sapete cosa succede, in quei casi.
I soldi degli investitori voleranno all’estero, magari per finanziare le estrazioni negli altri paesi produttori.
Insomma, gli americani hanno continuato a bombardare per anni i nemici dei sauditi, libici e iracheni, a fare la voce grossa con i loro arcinemici siriani e iraniani,, e vengono ripagati con questa mossa?
Complimenti.
P.S: il futuro  è incerto, lo sapete, magari all’improvviso una serie di principi sauditi muore per incidenti stradali o scivola mentre sta facendo la doccia (è già successo in passato, una vera e propria strage) e tutto finisce a tarallucci e vino, ma non è detto.