La fine della Democrazia: un dibattito sulla teoria libertaria.

Premetto che non sono un libertario, e che personalmente trovo questa teoria economica molto simile ad una vera e propria ideologia, piuttosto che ad una teoria economica. Però… parliamone.

Riporto di seguito l’intervento a padova del 20101 di Hans Hermann Hoppe, un economista americano che qui parla del suo libro, “Democrazia, il Dio che ha fallito“. Il testo originale lo trovate QUI. Si ringrazia Maurizio Balestrieri per la traduzione.

La revisione storica

Armato di una semplice teoria economica e politica, nel mio libro presento una ricostruzione revisionista della storia moderna occidentale: dell’emergere dagli ordini feudali [che erano entità non statali] degli Stati monarchici assoluti e della trasformazione del mondo occidentale, cominciata con la rivoluzione francese e completata con la fine della prima guerra mondiale, che ha visto il passaggio degli Stati monarchici a quelli democratici e l’assurgere degli Stati Uniti al ruolo “di impero universale”. Gli scrittori neo-conservatori, come Francis Fukuyama, hanno interpretato questa evoluzione come un progresso della civiltà e hanno proclamato la “fine della storia” che sarebbe arrivata con il trionfo della democrazia occidentale e la globalizzazione ([quest’ultima necessaria] per rendere il mondo sicuro per la [realizzazione della] democrazia). La mia interpretazione teorica è invece completamente diversa. Essa comporta la distruzione di tre miti storici.

Il primo mito

Il primo e più fondamentale mito [da sfatare legato alla democrazia] è che l’emergere da un ordine precedente (il periodo feudale) degli Stati sia stata la causa del progresso economico e civile che ne è seguito. La teoria ci induce invece a ritenere che tale progresso ci sarebbe comunque stato nonostante, e non a causa, la formazione degli Stati.

Lo Stato può essere definito convenzionalmente come: un’agenzia che esercita un monopolio territoriale, imposto con la forza, sia sulla decisione finale da prendersi in caso di controversie (giurisdizione) sia sulla tassazione. Per definizione quindi, ogni Stato, a prescindere dalla sua particolare costituzione è economicamente ed eticamente inadeguato. [Perché è inadeguato?] Ogni monopolio è un “male” dal punto di vista del consumatore. Intendiamo per monopolio la mancanza di libero accesso ad una particolare linea di produzione: solo un’agenzia A può produrre il servizio od il prodotto X.

Ogni monopolio è “maligno” per i consumatori perché, essendo protetto dall’ingresso di altre agenzie nella propria linea di produzione, il prezzo dei suoi prodotti sarà più alto e la loro qualità inferiore di quanto potrebbe invece essere in caso di libero accesso da parte di altre agenzie [cioè essendo il mercato aperto alla competizione di altre agenzie che operassero nella stessa linea di produzione]. Ovviamente il fatto che proprio il potere supremo di prendere decisioni sia esercitato in regime di monopolio è particolarmente “maligno”. Al contrario di altri monopoli che producono beni di qualità inferiore [e prezzo superiore rispetto a un regime di competizione], un monopolio giudiziario oltre a produrre servizi di qualità inferiore produce dei veri e propri “misfatti”, perché un tale monopolista è giudice supremo di ogni conflitto e quindi anche di quelli che lo riguardano direttamente. Di conseguenza, invece di tendere a prevenire e risolvere conflitti, un giudice supremo monopolista sarà portato naturalmente a causare e provocare conflitti da comporre a proprio vantaggio.

Non solo nessuno, potendo evitarlo, accetterebbe un tale monopolio nella fornitura di servizi giudiziari, ma [non accetterebbe] nemmeno il fatto che sia il giudice monopolista a determinare unilateralmente il prezzo dei propri “servizi”. È facilmente prevedibile, che un tale monopolista userebbe sempre più risorse (proventi della tassazione) per produrre sempre meno beni e perpetrare sempre più misfatti. Questa situazione non è la ricetta per la protezione dei cittadini ma per la loro oppressione e sfruttamento. Il risultato del costituirsi di uno Stato, quindi, non è la pacifica cooperazione [economica tra i cittadini] e l’ordine sociale, ma il conflitto, la provocazione, l’aggressione, l’oppressione e l’impoverimento in altre parole la de-civilizzazione (imbarbarimento). Questo, soprattutto, è quello che ci ha mostrato la storia degli Stati. Essa è infatti, in primo luogo, la storia di milioni di vittime innocenti del potere statale.

Il secondo mito

Il secondo mito riguarda la transizione dalle monarchie assolute agli Stati democratici. Non solo i neo-conservatori interpretano questo sviluppo come progresso, ma c’è un accordo pressoché universale sul fatto che la democrazia rappresenta un progresso nei confronti della monarchia e che sia la causa dello sviluppo morale ed economico recente. Questa interpretazione è particolarmente curiosa alla luce del fatto che la democrazia è stata invece la fonte di tutte le forme di socialismo: del socialismo democratico europeo, del liberalismo e del neo-conservatorismo americano così come del socialismo internazionalista, quello sovietico, del fascismo italiano e del nazionalsocialismo in Germania. Ma più importante è il fatto che la teoria contraddice questa interpretazione: sia la monarchia, sia la democrazia sono inadeguate in quanto Stati, ma la democrazia è peggiore della monarchia.

Dal punto di vista teorico, la transizione dalla monarchia alla democrazia riguarda né più né meno il fatto che un “proprietario” monopolista ereditario, il principe o il re, sia sostituito da un “curatore” monopolista temporaneo e intercambiabile, il presidente, il primo ministro, e i membri del Parlamento. Sia i re sia i presidenti democratici produrranno dei misfatti, ma un re, poiché “possiede” il monopolio e può venderlo o tramandarlo ai propri eredi, si curerà degli effetti delle proprie azioni sul valore di questo suo capitale. In quanto proprietario del capitale sul “suo” territorio, il re sarà relativamente orientato al futuro. Per conservare e migliorare il valore della sua proprietà, egli lo sfrutterà moderatamente e in maniera calcolata. Al contrario, un curatore democratico temporaneo e intercambiabile non “possiede” il paese ma, per il tempo che rimane in carica, gli è consentito di usarlo a proprio beneficio. Questo non solo non elimina lo sfruttamento, anzi lo rende di corte vedute (orientato al presente) e non calcolato [(sfrenato)], cioè condotto senza alcun riguardo per il valore futuro del capitale presente nel paese.

Neppure il libero accesso [da parte di tutti i cittadini] a qualsiasi carica dello Stato è un vantaggio della democrazia (rispetto ad un regime monarchico, in cui l’accesso al potere è regolato discrezionalmente dal sovrano). Al contrario, è solo la competizione nella produzione di merci e servizi che è buona cosa mentre la competizione nella produzione dei misfatti non è affatto cosa buona. I re, che giungono alla loro carica in funzione della loro nascita, possono essere o dei dilettanti incapaci di fare danni o invece degli uomini decenti (mentre se sono dei pazzi, di essi ci si prenderà cura rapidamente e se necessario verranno eliminati proprio dei parenti più stretti, preoccupati del futuro della dinastia). Questo [processo di salita al potere] è in un acuto contrasto con [quanto avviene per] la selezione dei governanti democratici per mezzo delle elezioni popolari che rende praticamente impossibile, per una persona incapace o decente, di arrivare al vertice dello Stato. Presidenti e primi ministri raggiungono le loro posizioni come risultato della loro efficienza in quanto demagoghi moralmente privi di inibizioni. Pertanto la democrazia fa si che virtualmente solo persone pericolose giungeranno ai vertici del governo.

In particolare la democrazia può essere vista come un mezzo per promuovere nella società un aumento del tasso di preferenza temporale ([un maggior] orientamento al presente) ovvero condurre ad una maggiore una “infantilizzazione” della società stessa. Un [ulteriore] risultato della democrazia è il continuo aumento delle tasse, della circolazione di denaro cartaceo [(al posto di denaro merce, come oro e argento]), dell’inflazione di denaro cartaceo, un infinito flusso di nuova legislazione e un debito “pubblico” continuamente crescente. Così la democrazia conduce alla riduzione dei risparmi, all’aumento dell’incertezza legale, al relativismo morale, all’illegalità e al crimine. Inoltre, la democrazia è uno strumento di confisca e redistribuzione della ricchezza e del reddito. Essa conduce al prelievo, per mezzo della legge, della proprietà di alcuni, coloro i quali hanno [gli abbienti], e alla distribuzione di quanto preso loro ad altri, quelli che non hanno [i non abbienti]. E poiché è presumibile che sia qualcosa che ha valore ciò che è ridistribuito, si tratta di qualcosa che coloro i quali “hanno”, hanno troppo e coloro i quali “non hanno”, hanno poco. Tale redistribuzione fa sì che l’incentivo a produrre qualcosa di valore sia sistematicamente ridotto. In altre parole, la proporzione delle persone dai comportamenti, dalla forma e dall’apparenza poco corretta aumenterà e la vita sociale diventerà sempre meno piacevole.

Infine, per ultimo ma non ultimo, l’avvento della democrazia ha causato un radicale cambiamento nella condotta delle guerre. Poiché è possibile esternalizzare i costi della propria aggressione nei confronti di altri (attraverso il ricorso alla tassazione) sia i re che i presidenti saranno più che “normalmente” aggressivi e guerrafondai. Comunque, il motivo che ha un re per dichiarare una guerra è tipicamente una disputa di proprietà o ereditaria. L’obiettivo di questa guerra monarchica è tangibile e di carattere territoriale: guadagnare il controllo su un territorio e sui suoi abitanti. Per conseguire questo obiettivo è nell’interesse del re distinguere fra i combattenti (i suoi nemici e interessanti dell’attacco) e i non-combattenti e le loro proprietà (affinché vengano tenute fuori della guerra e non vengano danneggiate [visto che in caso di vittoria entreranno a fare parte del patrimonio reale e sarà necessario spendere soldi per ricostruirle]). La democrazia ha invece trasformato le guerre limitate dei sovrani in guerre totali. La ragione della guerra [da territoriale] è diventata ideologica: [con l’avvento della democrazia si fa una guerra per] la democrazia, la libertà, la civilizzazione, l’umanità. Gli obiettivi sono adesso intangibili ed elusivi: la conversione ideologica degli sconfitti, preceduta dalla loro resa incondizionata (la quale, poiché non si può mai essere certi della sincerità di una conversione, può richiedere mezzi come l’omicidio di massa di civili). E la distinzione tra i combattenti e i non-combattenti diventa sempre più sfumata e, alla fine, scompare e il coinvolgimento popolare nella guerra di massa, la leva universale obbligatoria e le adunanze oceaniche, così come i “danni collaterali” diventano parte integrante della strategia di guerra.

Il terzo mito

Infine, il terzo mito infranto è la convinzione che non esistano alternative alle democrazie sociali occidentali, all’americana. Di nuovo, la teoria dimostra il contrario. Prima di tutto, questa convinzione è falsa perché le moderne social-democrazie non costituiscono un sistema economico stabile e sono destinate a collassare sotto il proprio peso parassitario, in maniera del tutto simile all’implosione del socialismo sovietico di due decenni orsono. Ma cosa ancora più importante è che una stabile alternativa alla democrazia esiste. Il termine che propongo per quest’alternativa è: “ordine naturale”.

In un ordine naturale ogni risorsa scarsa, inclusa tutta la terra, è posseduta privatamente, ogni impresa è finanziata da clienti paganti volontariamente oppure da donatori privati e l’ingresso in qualsiasi linea di produzione, inclusa quella della protezione della proprietà, dell’arbitraggio dei conflitti e della difesa, è libero.

Se lo Stato disarma i propri cittadini per potere essere capace di derubarli più facilmente, rendendoli più vulnerabili ad attacchi criminali terroristici, l’ordine naturale, al contrario, è caratterizzato da una cittadinanza armata. Quest’ultima caratteristica è, infatti, favorita dalle compagnie di assicurazione, le quali svolgono un ruolo importante in quanto fornitori di sicurezza e protezione in un regime di ordine naturale. Gli assicuratori incoraggeranno i loro clienti a detenere armi, offrendo loro il pagamento di premi bassi se essi sono armati e ben addestrati all’uso delle armi. Per loro natura, le assicurazioni sono agenzie difensive. Siccome solo i danni accidentali e non ha auto-inflitti, causati o provocati sono assicurabili, gli aggressori e i provocatori si vedranno negare la copertura assicurativa e rimarranno pertanto più deboli [di fronte ad aggressioni da parte di terzi]. Poiché gli assicuratori devono indennizzare i propri clienti in caso di conflitto, devono preoccuparsi continuamente della prevenzione delle aggressioni criminali, del recupero della refurtiva e della cattura dei responsabili dei danni causati.

Inoltre la relazione tra assicuratori e clienti è di tipo contrattuale. Le regole del gioco sono mutuamente accettate e definite. Un assicuratore non può “legiferare” o, in maniera unilaterale, cambiare i termini del contratto. In particolare se un assicuratore vuole attrarre una clientela pagante deve tenere conto, nei propri contratti, della possibilità di conflitto non solo tra i propri clienti ma specialmente con i clienti di altre assicurazioni. L’unica possibilità per un assicuratore in grado di coprire in maniera soddisfacente questo ultimo caso è di essere legato contrattualmente a un arbitro terzo. Comunque non basterà un qualsiasi arbitro perché gli assicuratori in conflitto tra loro devono concordare sull’arbitro o l’agenzia di arbitraggio da scegliere e, per essere accettabile agli assicurati, un arbitro deve offrire un prodotto (una procedura legale e un giudizio effettivo) che dia luogo al consenso morale più ampio possibile tra gli assicuratori e i clienti. Così, contrariamente alle condizioni statuali, un ordine naturale è caratterizzato da una legge stabile e prevedibile e da una migliorata armonia legale.

Inoltre, le compagnie di assicurazione promuovono lo sviluppo di un ulteriore elemento di sicurezza. Gli Stati non solo hanno disarmato i loro cittadini portandogli via le armi, ma le democrazie in particolare hanno privato i propri cittadini del diritto all’esclusione promuovendo invece, attraverso politiche di non discriminazione, di azioni positive, e multiculturali un’integrazione forzata. In un ordine naturale il diritto all’esclusione inerente alla stessa idea di proprietà privata è invece restituito ai legittimi proprietari.

Così per ridurre i costi di produzione della sicurezza e migliorarne la qualità, un ordine naturale si caratterizza per un aumento di discriminazione, di segregazione, di separazione spaziale, di mono-culturalismo (omogeneità culturale), di esclusività e di esclusione. In aggiunta dove gli Stati hanno indebolito le istituzioni sociali di intermediazione (i nuclei familiari, le chiese, di accordi tra gruppi, le comunità locali, i circoli) e i livelli di autorità ad essi associati per incrementare il loro potere nei confronti di individui sempre più isolati e uguali l’un l’altro, un ordine naturale è distintamente non ugualitario: elitista, gerarchico, proprietario, patriarcale e autoritario e la sua stabilità dipende essenzialmente sull’esistenza di una aristocrazia naturale conscia di sé stessa e volontariamente riconosciuta [dagli altri cittadini].

Strategia

Come può ordine naturale emergere dalla democrazia? Nel mio libro, chiarisco il ruolo delle idee, degli intellettuali, delle elite e della pubblica opinione nella legittimazione e delegittimazione del potere statale. Un ruolo importante ha la secessione e la proliferazione di entità politiche indipendenti verso la realizzazione di un ordine naturale e il come fare a privatizzare la proprietà “pubblica” e quella “socialista”.

Che dire? Idee forse non pienamente condivisibili, soprattutto l’infantile presunzione dei libertari che una ricco non tenda a diventare un “monopolista” prima e dopo , insieme agli altri potenti come lui, “lo stato” che aborriscono. Come se l’oppressione dei potenti verso i deboli non sia l’ordine naturale delle cose, dalla notte dei tempi.

Anche la teoria di Hoppe sulla monarchia che sarebbe preferibile alla democrazia ha diverse pecche, secondo me.

Quello che è successo negli ultimi anni, con l’avvento della “democrazia” è stato il regolare e lento saccheggio non dei poveri, che non hanno niente da dare, e neanche dei ricchi, che proprio grazie al loro potere possono difendersi, ma della classe media, ovvero di quelle persone che possiedono qualcosa in più rispetto agli altri, grazie al loro lavoro. Classe media che si vede prosciugare i risparmi, grazie alla tassazione sulle loro proprietà. bersagli immobili rispetto al fisco predatore. E la giustificazione dello stato predone è che i “poveri” hanno “bisogno”, e quindi la classe media, evidentemente composta da evasori e “rentier”, come ho sentito definirli ultimamente, deve “distribuire” la loro ricchezza verso i bisognosi, e verso coloro che di stato si mantengono.

Milioni di pensionati che percepiscono pensioni per cui non hanno versato contributi sufficienti, milioni di statali che spesso sono necessari e utili, ma anche no.

Politici corrotti ed incapaci, che non devono fare altro, per mantenere il comodo posto di comando che lasciar rubare gli altri politici e non disturbare il sistema. Una certificazione di imbecillità. E questo spiega come mai sempre più incapaci raggiungano le posizioni di comando, una persona capace, vista la situazione economica per prima cosa taglierebbe le spese statali, per arginare la crisi, e non solo.

Una persona capace FA, non proclama promesse e cazzate alla televisione, e non chiede il permesso di nessuno.

E teorie come quella Libertaria, che vengono appositamente tenute nascoste, mentre a fascisti e socialisti vari lo si permette. Gente che comunque non pensa neanche di poter fare a meno di uno stato.

Personalmente non condivido, ma parliamone.

Vogliamo un governo dei migliori, dei più saggi ed intelligenti? Proviamoci. Vogliamo un governo di persone elette a caso, che poi dopo qualche anno spariscono e non possono più lavorare per lo stato? Oppure decidiamo che solo per dieci anni si può lavorare per lo stato, a qualsiasi livello e che questo periodo non conti per il calcolo della pensione, che rimane comunque privata? Perché no? Non è il sistema ad essere positivo in se, ma il CAMBIAMENTO.

Ricordate, le rivoluzioni sono sempre state fatte dalla classe media , non dal gregge.

By Nuke il disturbatore, di Liberticida.

P.S. La “Fine della storia” come declama l’immondo Fukuyama, con il cavolo che la storia è finita…