I dodici segni – Lee Child – recensione libro e riflessione sui kamikaze.

Doppio post , oggi , prima vi parlo di un libro di azione , poi facciamo una piccola riflessione tecnica sull’incipit di questo libro.
Jack Reacher , il protagonista vede una donna in un vagone della Metropolitana e , crede di riconoscere in essa i “segni” dell’attentatore suicida, come

I  kamikaze  sono  facili  da  individuare.
Presentano  vari  segni  rivelatori,  in  genere perché sono nervosi. Sono  tutti per definizione alla prima esperienza.
Il  controspionaggio  israeliano  ha  dettato  la strategia  difensiva.  

Ci  hanno  spiegato  cosa cercare. 
Si sono avvalsi di osservazioni pratiche e  di  analisi  psicologiche  e  hanno  stilato  un
elenco  di  indicatori  comportamentali.  Ho imparato  quella  lista  vent’anni  fa  da  un
capitano  dell’esercito  israeliano.  
Lui  vi  si atteneva  ciecamente.  
Pertanto  lo  avevo  fatto anch’io,  perché  a  quel  tempo  mi  avevano distaccato  per  tre  settimane  −  di  solito  a  un metro  dalla  sua  spalla  −  in  Israele,  a Gerusalemme, nella Striscia di Gaza,  in Libano, a  volte  in Siria, altre  in Giordania,  sui bus, nei negozi, sui marciapiedi affollati. 
I miei occhi non smettevano mai  di muoversi  e  la mia mente  di vagliare i punti dell’elenco.
Vent’anni  dopo  li  ricordo  ancora.  E  il  mio sguardo  non  smette  mai  di  muoversi.  
Pura abitudine. 
Da altre persone ho appreso un altro mantra:  
guarda,  non  vedere,  ascolta,  non sentire. 
Più ti impegni, più sopravvivi.
L ’elenco  è  di  dodici  punti  se  osservi  un sospetto  di  sesso  maschile.  Di  undici,  se  ne
osservi  uno  di  sesso  femminile.  La  differenza sta nella barba fatta da poco. 

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I kamikaze maschi si rasano. 
Li aiuta a confondersi. 
Li rende meno sospetti. 
Il risultato è una pelle più chiara nella metà  inferiore del volto. 
Una pelle non esposta di recente al sole.
Ma la barba non mi interessava.
Stavo usando l’elenco di undici punti.
Stavo osservando una donna.
Ero  in metropolitana  a New York. 
Sulla  linea
6, la linea locale di Lexington Avenue, direzione
uptown,  ore  due  del  mattino.  
……….
Era  seduta  sul  lato  destro  della  carrozza,
tutta sola sulla panca da otto più lontana, dalla
parte opposta e circa a metà tra la donna sfatta
dalla  fatica dell’Africa occidentale e  l’uomo con
o sguardo da giocatore di baseball. 
Era bianca e sulla quarantina. Bruttina. 
Aveva i capelli neri
tagliati con cura, ma non alla moda, di un colore
troppo uniforme per essere naturali. 
Era  tutta
vestita  di  nero.  La  vedevo  piuttosto  bene.
L ’uomo  più  vicino  a  me  sulla  destra  sedeva
proteso  in  avanti  e  lo  spazio  a  V  tra  la  sua
schiena  piegata  e  la  parete  della  vettura  mi
consentiva  una  traiettoria  visiva  ininterrotta, tranne per la foresta di barre d’acciaio lucido.
Non era una visuale perfetta, ma sufficiente in ogni  caso  a  far  scattare  tutti  gli  allarmi
dell’elenco  di  undici  punti.  
Questi  si  accesero come le ciliegie delle slot machine di Las Vegas.
Secondo  il  controspionaggio  israeliano  stavo osservando una kamikaze.
Il  primo  punto  era  l’elemento  più  ovvio:
l’abbigliamento  inadeguato. 
Le  cinture
esplosive si sono ormai evolute come i guantoni
da baseball. 
Prendi un pezzo di tela pesante da novanta  per  sessanta,  piegalo longitudinalmente  e  hai  una  tasca  continua profonda trenta centimetri.
 Avvolgila attorno al kamikaze e cucila sulla schiena. 
Cerniere lampo o  automatici  possono  indurre  a  ripensamenti.
Inserisci una fila di candelotti di dinamite lungo tutta  la  circonferenza,  collegali  con  un  filo, riempi  gli  spazi  vuoti  con  chiodi  o  cuscinetti  a sfere, cuci  l’orlo superiore, aggiungi un paio di rozzi  spallacci  per  reggere  il  peso.  
Nel complesso,  efficace  ma  ingombrante.  L ’unico camuffamento pratico è un  indumento oversize come un parka  invernale  imbottito. 
Mai adatto per  il  Medio  Oriente,  verosimile  a  New  York forse tre mesi su dodici.
Ma eravamo in settembre e faceva caldo come d’estate;  sotto  terra c’erano dieci gradi di più.
Io  indossavo  una  maglietta.  La  passeggera numero  quattro  un  piumino  della  North  Face nero, gonfio, lucido, un po’ troppo grande e con la cerniera chiusa fino al mento.
Saltai  il  secondo  degli  undici  punti. 
Non  era immediatamente  applicabile.  
Il  secondo  punto è:  camminata  da  robot.  
Rilevante  a  un checkpoint,  in  un mercato  affollato,  all’esterno
di  una  chiesa  o  di  una  moschea,  non  con  un sospetto  seduto  su  un  mezzo  di  trasporto
pubblico.  
I  kamikaze  camminano  come  robot non  perché  siano  sopraffatti  dall’estasi  al
pensiero dell’imminente martirio, ma perché  si portano  addosso  venti  chili  in  più  a  cui  non
sono  abituati,  che  tagliano  loro  la  carne  delle spalle  a  causa  degli  spallacci  grezzi,  e  perché
sono  drogati.  
L ’attrattiva  del  martirio  arriva solo fino a un certo punto. In genere i kamikaze
sono  dei  balordi  plagiati,  con  un  rotolino  di oppio  grezzo  tra  la  gengiva  e  la  guancia.  Lo
sappiamo  perché  le  cinture  con  la  dinamite esplodono  con  un’onda  di  pressione
caratteristica,  a  forma  di  ciambella,  che  si diffonde  su  per  il  tronco  in  una  frazione  di
nanosecondo  e  stacca  di  netto  la  testa  dalle spalle.  
La  testa  umana  non  è  imbullonata.  Sta semplicemente  lì  per  gravità,  tenuta  in  parte
dalla  pelle  e  dai  muscoli,  dai  tendini  e  dai legamenti,  ma  quegli  esili  ancoraggi  biologici
non fanno molto contro la forza di un’esplosione chimica  violenta.  
Il  mio  mentore  israeliano  mibaveva  spiegato  che  il  modo  più  facile  per
stabilire  se  un  attacco  all’aperto  sia  stato causato  da  un  kamikaze  anziché  da
un’autobomba  o  da  un  pacco  bomba  è ispezionare la zona in un raggio di venticinque,
ventotto  metri  in  cerca  di  una  testa  umana mozzata,  che  risulta  con  molta  probabilità
stranamente  intatta  e  integra,  fino  al particolare del rotolino d’oppio nella guancia.
I punti dal tre al sei sono varianti di un tema soggettivo:  irritabilità,  sudorazione,  tic,
comportamento nervoso. Anche se a mio parere il  sudore  può  essere  causato  tanto  dal
riscaldamento  fisico  eccessivo  quanto  dalla tensione. Dall’abbigliamento inadeguato e dalla
dinamite. La dinamite è polpa di legno imbevuta di  nitroglicerina  e modellata  in  bastoni  grandi
come  sfollagente. La polpa di  legno è un buon isolante  termico.  Perciò  il  sudore  è  una
conseguenza  normale.  L ’irritabilità,  i  tic  e  il comportamento nervoso sono tuttavia indicatori
preziosi.  Quegli  individui  sono  arrivati  agli ultimi  strani  momenti  della  loro  vita,  sono  in
ansia,  spaventati  dall’idea  del  dolore,  storditidai  narcotici.  Sono  irrazionali  per  definizione.
Spinti  dalle  pressioni  ideologiche  o  dalle aspettative dei coetanei e dei familiari, credono,
credono  in  parte  o  non  credono  affatto  al paradiso,  ai  fiumi  di  latte  e  miele,  ai  pascoli
rigogliosi  e  alle  vergini;  all’improvviso  si ritrovano  troppo  invischiati  e  incapaci  di
uscirne. Fare  discorsi  coraggiosi  nelle  riunioni clandestine è una cosa. Agire, un’altra. Di qui il
panico represso con tutti i segni visibili.
La passeggera numero quattro  li presentava tutti.  Aveva  proprio  l’aspetto  di  una  donna
avviata  alla  fine,  con  la  stessa  certezza  e sicurezza con cui il treno si avviava al capolinea.
Perciò punto sette: la respirazione.
Ansimava  in  modo  sommesso  e  controllato. Inspirava,  espirava,  inspirava,  espirava.  Come
in  una  tecnica  per  vincere  il  dolore  del  parto, per  effetto  di  uno  shock  spaventoso  o  quale
ultima disperata barriera per trattenere un urlo di sgomento, di paura, di terrore.
Punto  otto:  i  kamikaze  prossimi  a  entrare  in azione  fissano  rigidi  davanti  a  sé. Nessuno  sa
perché, ma  le prove video e  i  testimoni oculari sopravvissuti  si  sono  rivelati  concordi  in
proposito. I kamikaze fissano dritti davanti a sé.
Forse per tanto impegno arrivano a un punto di stallo e temono di essere scoperti. Forse come i cani  e  i  bambini  credono  che,  se  loro  non vedono  nessuno,  nessuno  veda  loro.  Forse
l’ultimo brandello di coscienza impedisce loro di guardare  le  persone  che  stanno  per
annientare.  Nessuno  sa  perché,  ma  lo  fanno tutti.
La  passeggera  numero  quattro  lo  stava facendo. Quello era certo. Fissava dal finestrino
nero  di  fronte  con  intensità  tale  da  perforare quasi il vetro.
Punti uno-otto, ok. Spostai il peso in avanti sul sedile.
Poi  mi  bloccai.  L ’idea  era  tatticamente assurda. La tempistica era sbagliata.
Poi  guardai  di  nuovo.  E  mi  mossi  di  nuovo.
Perché i punti nove, dieci, undici erano tutti lì e anche giusti, ed erano  i punti più  importanti di tutti.
Punto  nove:  le  preghiere  borbottate.  Fino  a oggi  tutti  gli  attacchi  noti  sono  stati  ispirati,
motivati,  corroborati  o  pilotati  dalla  religione, quasi  esclusivamente  da  quella  islamica,  e  gli
islamici  sono  soliti  pregare  in  pubblico.  I testimoni  oculari  sopravvissuti  parlano  di
lunghe  formule  magiche  recitate  e  ripetute all’infinito  in  modo  più  o  meno  impercettibile,
ma  con  un movimento  visibile  delle  labbra.  La passeggera  numero  quattro  ce  la  stava
mettendo  tutta.  Le  sue  labbra  si  muovevano sotto gli occhi dallo sguardo fisso  in una recita
lunga,  ansimante,  ritualistica  che  pareva ripetersi ogni venti secondi o poco più. Forse si
stava  già  presentando  a  qualsiasi  divinità  si aspettasse  di  incontrare  sull’altra  sponda.
Forse  cercava  di  convincersi  che  c’erano davvero una divinità e una sponda.
La  dinamite  è  un  esplosivo  stabile  finché  è fresca.  Non  scoppia  per  caso.  Deve  essere
attivata  da  un  detonatore.  I  detonatori  sono collegati dalla miccia a una fonte di elettricità e
a un interruttore. 
I grossi detonatori a stantuffo dei  vecchi  film  western  erano  tutte  e  due  le cose  insieme.  
La  prima  parte  del  movimento dell’impugnatura  azionava  una  dinamo,  come un  telefono  da  campo,  poi  scattava l’interruttore.  Non  erano  pratici  per  uso portatile. 
Per uso portatile ti serve una batteria e per ogni metro lineare di esplosivo ti servono un po’ di volt e ampere. 
Le piccole batterie stilo emettono  un  debole  volt  e  mezzo.  Non abbastanza. 
Una batteria da nove volt è meglio, e  per  un  buon  risultato  te  ne  devi  procurare una  quadrata,  grande  quanto  una  scatola  di zuppa  pronta,  per  torce  che  si  rispettino.  
La batteria  sta  sul  fondo  della  borsa  e  da  essa partono i cavi che vanno all’interruttore; questi passano attraverso un  taglio discreto sul  retro della borsa e salgono serpeggiando sotto  l’orlo dell’abito inadatto.
La  passeggera  numero  quattro  portava  una borsa da postino di tela nera stile urban look: la cinghia  su  una  spalla,  la  borsa  stessa  sotto l’altra,  tirata  in  grembo.  Dal  modo  in  cui ricadeva la stoffa rigida, sembrava vuota tranne che per un unico oggetto pesante.
Il  treno  si  fermò  a  28th  Street.  Le  porte  si aprirono.  Nessuno  salì.  Nessuno  scese.  Le porte si chiusero e il treno ripartì.
Punto undici: le mani nella borsa.
Vent’anni  fa  il  punto  undici  costituiva  una nuova  aggiunta.  Prima  l’elenco  terminava  al punto  dieci.  Ma  le  cose  evolvono.  Azione  e quindi  reazione.  Le  forze  di  sicurezza  e  alcuni coraggiosi civili israeliani avevano adottato una nuova tattica. 
Se qualcosa ti insospettiva, non ti mettevi  a  correre.  Farlo  in  verità  non  aveva senso.  Non  puoi  correre  più  veloce  del frammento  di  un  ordigno.  Quello  che  invece facevi era afferrare il sospetto per stringerlo in un  abbraccio  disperato. Gli  bloccavi  le  braccia lungo  i  fianchi.  
Gli  impedivi  di  raggiungere  il pulsante. 
Parecchi attentati erano stati sventati in questo modo. Molte vite erano state salvate.
Ma  i kamikaze avevano  imparato. 
Adesso viene loro  insegnato  a  tenere  il  pollice  sul  pulsante per  tutto  il  tempo,  in  modo  da  neutralizzare l’abbraccio. Il pulsante sta nella borsa, accanto alla batteria. Perciò, le mani nella borsa.
La passeggera numero quattro aveva  le mani nella  borsa.  
La  cerniera  era  piegata  e stropicciata tra i suoi polsi.
Ecco , avete capito , il libro continua e prende una piega diversa, si tratta di un romanzo d’azione ben strutturato , scritto da Child, che è un buon giornalista e un buon scrittore, e che , quando deve spiegare una cosa la spiega bene.
Detto questo e esaurita la presentazione del libro, prendo l’incipit dello stesso come spunto per una altra riflessione.

La “tecnologia del Kamikaze. quindi implica un essere umano con un corpetto esplosivo irto di chiodi o sfere d’acciaio , con tutti i candelotti o i panetti di esplosivo che esplodono contemporaneamente.

E per quello si parla di grosse batterie, non è sempre vero così, ma la tecnica usata implica l’uso di un sacco di detonatori, quindi relativamente tanta energia per farli detonare.

è il corpo stesso del Kamikaze che, se l’esplosione avviene come deve, ovvero con tutto l’esplosivo che esplode nello stesso momento, che diffonde i pezzi metallici tutto intorno , a trecentosessanta gradi, all’altezza e alla direzione ottimale per fare il massimo danno possibile..

Se venisse utilizzato uno zaino , per esempio , l’esplosione sarebbe parzialmente schermata dal corpo stesso dell’attentatore.
Se lo zaino o la valigia, fosse messa in un angolo o a terra, l’effetto voluto non sarebbe comunque ottimale.
Sarebbero efficaci comunque solo in spazi ristretti , con pareti che riescono a contenere e riflettere l’onda d’urto dell’esplosione.
Inoltre esistono sempre delle contro indicazioni , se non si usano esplosivi militari potentissimi l’esplosione deve avvenire all’interno di un contenitore, in grado di intensificare la forza della bomba (come una bomba, appunto) e si tratta sempre di oggetti piuttosto pesanti.
Il “vantaggio per i terroristi è che lo zaino esplosivo consiste in un panetto abbastanza omogeneo , quindi occorrono meno detonatori e è più facile far esplodere la bomba a distanza, anche solo con un cellulare (come negli attentati alla metropolitana di Londra, pare)
Quindi , sempre a grandi linee, i terroristi utilizzano veicoli Kamikaze imbottiti di esplosivo quando si vogliono far saltare veicoli o palazzi, persone con il giubbetto esplosivo se si devono colpire folle o assembramenti di persone e zaini o valigie in spazi chiusi , tipo locali pubblici o gallerie della metropolitana.

Ne consegue che, ad ogni pazzo che mormora con gli occhi sbarrati pronto ad immolarsi corrispondono altre persone che hanno “progettato” a tavolino l’attentato , con freddezza e ferocia.

Sempre per fare un esempio in Israele (dove da parecchi anni si effettuano attentati) di solito si fa saltare il Kamikaze e, li vicino si mette una bomba telecomandata per colpire i soccorritori.
Gli Israeliani hanno imparato e disattivano i telefoni cellulari prima di intervenire, comunque prima di visitare i feriti controllano accuratamente la zona.

Alle forze dell’ordine insegnano più o meno a stare attenti a questo, per cui se siete sovrappeso , avete mal di pancia o di schiena e portate una borsa, muovetevi con cautela, in certi ambiti.

Nota: tutte le informazioni da me pubblicate sono di pubblico dominio , e non è mia intenzione istigare nessuno alla violenza , solo voglio far notare il ragionamento e lo “studio” che sottendono gli attentati terroristici.