EGITTO: SITUAZIONE ESPLOSIVA

Recentemente il Foreign and Commonwealth Office (FCO) https://www.gov.uk/foreign-travel-advice/egypt sconsiglia di viaggiare in Egitto perché nel Sinai del Nord c’è un significativo aumento dell’attività criminale e i continui attacchi terroristici contro la polizia e le forze di sicurezza hanno provocato morti.

Si consigliano i viaggi non essenziali:

– nel Sinai del Sud, nella Valle del Nilo e del Delta del Nilo;

– nelle zone turistiche lungo il fiume Nilo (tra cui Luxor, Qena, Aswan, Abu Simbel e la Valle dei Re).

Sempre lo stesso sito fa notare che i terroristi continuano a pianificare e condurre attacchi e che questi ultimi prenderanno di mira le forze di sicurezza, ma anche i turisti. Tutto questo viene ribadito anche da https://www.osac.gov/pages/ContentReportDetails.aspx?cid=19218

cartina egittoLa maggior parte dei governatori provinciali sono ex ufficiali militari, i militari controllano più della metà dell’economia egiziana e il presidente Abdel Fattah al-Sisi è il quarto (ex) generale militare che governa l’Egitto. Ma la loro decisione di governare può rivelarsi fatale. Tra le fratture interne, la rabbia populista e la cattiva gestione dell’economia, rende il regime militare insostenibile. I militari hanno costruito un impero commerciale all’interno dell’economia egiziana: centinaia di fabbriche e imprese che generano centinaia di milioni di dollari di fatturato annuo. Un governo guidato da un civile potrebbe minacciare questi interessi economici significativi. I lucrosi incarichi di questa élite militare è ormai infiltrata nei consigli di amministrazione delle agenzie di regolamentazione e nelle imprese statali. I generali in pensione e loro subordinati siedono nei consigli di imprese statali che controllano servizi di pubblica utilità, infrastrutture e altri servizi pubblici, lavorano in ministeri e agenzie governative con giurisdizione su alloggi, gestione immobiliare, lo sviluppo agricolo e del turismo. Quindi la prima cosa da ricordare è che l’élite militare ha molto da perdere, se un regime civile capovolgesse l’attuale struttura civile-militare.

Ma la nazione delle Piramidi ha anche altri problemi: l’aumento della povertà, l’inflazione alle stelle, l’elevata disoccupazione, infrastrutture fatiscenti e una popolazione giovane con poche prospettive economiche. Tutto ciò potrebbe portare gli egiziani a insorgere contro il governo autoritario e probabilmente l’esercito potrebbe non essere in grado di arginare questa situazione. In caso di una ennesima insurrezione potrebbe esserci tanto spargimento di sangue e anche defezione da parte di soldati che si rifiutano di aggredire i loro connazionali.

Le continue divisioni interne, i disaccordi su come governare un paese funestato da problemi socio-economici e la crisi di sicurezza nel Sinai: la ricetta perfetta per un altro colpo di stato.

In un recente articolo di Bloomberg https://www.bloomberg.com/view/articles/2016-08-16/egypt-s-failing-economy-is-sisi-s-fault emerge che le pessime condizioni economiche della nazione sono addebitabili ad al-Sisi. Il governo egiziano che ha preso il potere ha già ricevuto decine di miliardi in aiuti. Il tasso di disoccupazione ufficiale è circa il 13% e la cifra per i giovani egiziani è più del doppio. Il paese ha un deficit commerciale del 7% del prodotto interno lordo e un deficit di bilancio del 12% del PIL.

valore moneta egizia

I ricavi del Canale di Suez e le rimesse degli egiziani che lavorano all’estero sono le fonti primarie di valuta estera. Il crollo del turismo (l’abbattimento di un aereo charter russo sul Sinai, il misterioso schianto di un volo EgyptAir nel Mediterraneo), la moneta sopravvalutata, la grave carenza di valuta estera, stanno facendo affondare il paese. I pacchetti di aiuti sono stati sperperati nel mega-progetto di espansione del Canale di Suez. Un quarto della popolazione vive in condizioni di povertà e sempre un quarto della popolazione adulta è analfabeta. Non sono stati fatti i veri investimenti che la popolazione tanto desiderava: strade, scuole, sistemi d’approvvigionamento idrico, prestiti bancari facilitati per le piccole imprese e la fine del monopolio militare-industriale presente in molti settori.

Dai massimi esperti di rivoluzioni e insurrezioni si apprende (http://www.washingtoninstitute.org/policy-analysis/view/the-flow-of-islamist-fighters-from-egypt-to-syria-and-the-sisi-governments) che dopo il rovesciamento – avvenuto nel luglio 2013 – del leader dei Fratelli Musulmani Mohamed Morsi e il successivo giro di vite del nuovo governo sugli islamisti, lo scenario di una rivolta nazionale è ancora presente.

Le forze di sicurezza egiziane hanno catturato molti militanti della Fratellanza Musulmana, responsabili di attacchi di basso profilo a danno delle infrastrutture dello Stato. Nel frattempo, la Fratellanza da gennaio 2015 ha lanciato l’appello per “una lunga, jihad senza compromessi”, tutto questo ha alimentato tensioni all’interno dell’organizzazione.

Ma la Fratellanza in Egitto ha anche rivolto la sua attenzione altrove: il rapporto del sito di notizie Ida’at suggerisce che i Fratelli Musulmani egiziani e i loro alleati sono andati a combattere in Siria, per acquisire esperienza sul campo di battaglia, così al loro ritorno saranno preparati per una “jihad contro il tiranno” (si riferiscono al presidente Abdel Fattah al-Sisi). La relazione stima che 2000 egiziani si sono uniti allo Stato islamico. Infatti durante il governo di Morsi fu fatta una legge che prevedeva che gli egiziani di ritorno dalla battaglia in Siria non sarebbero stati perseguiti.

Il rapporto Ida’at indica che il numero di egiziani che combatte in Siria è raddoppiato dopo che Morsi è stato rovesciato. Nel periodo post-rovesciamento, centinaia dei sostenitori di Morsi sono stati uccisi e incarcerati, questi giovani appartenenti alla Fratellanza Musulmana in carcere spesso diventano jihadisti. Come se non bastasse, i giovani egiziani rimasti in Siria, hanno acquisito esperienza nell’eseguire attacchi, hanno imparato ad usare armi avanzate, tra cui carri armati e missili. Tutti questi combattenti e i jihadisti sono contrari alla rimozione di Morsi e dall’unione delle loro forze il “suolo egiziano potrebbe trasformarsi in nuovo e fantastico campo di battaglia”, per combattere contro il colpo di stato militare.

Si apprende da http://www.socialistworld.net/doc/7620 che per la stragrande maggioranza degli egiziani, i problemi socio-economici sono la principale preoccupazione. Dal 2011, la ricchezza dei miliardari è aumentata dell’80%, mentre cinque milioni di persone sono immerse nella povertà. Il prezzo del carburante è aumentato del 78% e le bollette dell’energia elettrica sono aumentate del 30%. Grazie alla privatizzazione, l’economia è aperta agli avvoltoi delle multinazionali. Le imprese del Golfo controllano il 50% del mercato del latte e il 45% dello zucchero. I piani militari continuano ad arricchirsi attraverso il controllo economico del trasporto marittimo, del petrolio, delle energie rinnovabili, dei porti, dei cantieri navali, della produzione di fertilizzanti, hardware, ecc – le industrie che formano almeno il 40% dell’economia.

disoccupazione egitto

Il colpo di stato militare fu un mero cambio di regime dall’alto per fermare la rivoluzione dal basso. La repressione sotto al-Sisi è peggiore di quella di Mubarak. Migliaia di persone sono state uccise e decine di migliaia incarcerate e torturate (non solo i sostenitori dei Fratelli Musulmani, ma anche sindacalisti, giornalisti e gioventù rivoluzionaria). La repressione di stato è brutale: questo è un segno di debolezza e non di forza. Dall’inizio del mese di marzo c’è stata un ondata di scioperi che coinvolge i lavoratori del settore pubblico. A differenza di Nasser, al-Sisi offre solo più austerità e questa sta alimentando il motore della rivoluzione.

Una situazione molto esplosiva che presto potrebbe scoppiare. La rivoluzione non è un evento, ma è patrimonio di resistenza.

Jack Cuze     http://liberticida.altervista.org/