Aggiornamento sui Rohinga: petrolio, soldi e fanatici

Prima di tutto ricordiamo come mai nel Myanmar si combatte:

A) occorre impedire a gas e petrolio di provenire dal medio oriente ( Iran?) verso la Cina bypassando lo Stretto di Malacca , scombinando i piani degli americani, che sognano un bell’embargo per Pechino.

B) occorre per lo stesso motivo impedire il trasporto di merci dirette verso l’Africa.

C) Al largo delle coste della ex Birmania pare che ci sia gas e petrolio da sfruttare e questo sarebbe una bella coincidenza, per i cinesi che “casualmente” hanno già posto in loco gasdotti e oleodotti.

Il vero nemico da colpire è la Cina, e , come sempre accade i fanatici salafiti con le “bandiere nere” sono apparsi dal nulla, foraggiati da sauditi e americani.

Ecco una delle prime foto diffuse in rete, ragazzi provenienti da Mindanao, non dal Rohinga, dove pare non ci siano ancora vero e propri gruppi con le bandiere nere organizzati, ma solo dei contatti tra ISIS e gruppi locali.

Io li chiamo “gli Hobbit”. ragazzi piccoli, dai piedi grandi e che sembra non sappiano cosa fare con fucili che, per loro  sono grandissimi.

Quello nella foto invece  è Havistoohar, il simpatico leader dei ribelli Rohinga.

Si è addestrato almeno sei mesi in Pakistan, in un campo assieme a parecchi dei suoi collaboratori, e i suoi fratelli e sorelle pare vivano in Arabia Saudita.

La regia della “rivolta” è abbastanza palese, è chiaro anche da dove provengono i soldi.

Per il momento il “carismatico” leader si muove con cautela, l’esercito birmano è bene organizzato, e insieme ai buddisti non vede l’ora di ammazzarlo insieme ai suoi uomini.

Non si vedono tracce di defezioni tra esercito e buddisti a suo favore, per ovvi motivi. Situazione ben diversa rispetto a quella siriana, dove interi gruppi dell’esercito di Damasco passarono dalla parte dei ribelli armi e munizioni comprese, all’inizio del conflitto, istigati da “chissà chi” e preparati ad una facile vittoria contro le forze di Damasco.

Per ora gli attacchi sono perlopiù dimostrativi, preparati con cura colpendo zone scarsamente presidiate dalla polizia. Una volta colpito  i ribelli spariscono dalla circolazione anche per mesi, mentre i buddisti si vendicano mettendo a ferro e fuoco villaggi interi di musulmani.  Nella mente dei “demiurghi” che hanno organizzato tutto i profughi dovrebbero diventare nuove leve per i terroristi.

Purtroppo questo non accade, il Bangladesh non li accoglie, proprio per evitare di creare dei covi di fanatici nel suo territorio, e i buddisti, zitti zitti cercano di  ammazzarli tutti. Quella povera gente non ha neanche la cittadinanza, nessuno di essi ha esperienza militare, sono combattenti ben scarsi e male organizzati.

I buddisti sono di tutta una altra pasta.

Nel Myanmar i problemi con i migranti musulmani iniziano nel 16 secolo. Questione risolta dai buddisti con lo sterminio sistematico. Circa cento anni fa gli inglesi, che governavano la zona fecero arrivare altri migranti per utilizzarli come manodopera a basso costo, e per poterli sobillare contro i nativi, alla bisogna.

Durante la seconda guerra mondiale i buddisti si allearono con i giapponesi, mentre gli inglesi armarono i musulmani. ne seguì un feroce massacro, le due parti ignorarono gli eserciti inglesi e giapponesi e si sterminarono allegramente tra di loro.

Ora l’odio secolare si sta di nuovo accendendo, e i media occidentali e alcuni governi stanno usando le minoranze oppresse come pretesto per rompere le scatole nel paniere a Pechino.

I soliti noti che organizzano i terroristi islamici si trovano davanti ad un dilemma non da poco. In Siria era abbastanza facile fare arrivare migliaia di tonnellate di armi e centinaia di migliaia di fanatici con gli occhi a palla. Per motivi diversi il governo turco, quello giordano e quello israeliano hanno facilitato questi traffici, e anche dall’Iraq molto riusciva a passare. il Nord dell Birmania, però confina solo con il Bangladesh, la Cina e l’india.

La cina è ovviamente esclusa, l’india non vuole avere troppo a che fare con i musulmani, rimane pertanto solo il Bangladesh come “stato cuscinetto” per accogliere campi di addestramento e permettere il passaggio di armi e fanatici.

I governanti del Bangladesh, che hanno già abbastanza problemi con gli islamisti, non ci stanno, dato che rischierebbero per davvero di diventare un Califfato.

Parrebbe che l’insurrezione dei Rohinga, ovvero una guerra di mercenari stranieri fanatici armati da sauditi ed occidentali sia difficile da mettere in atto.

Occorre inventarsi qualcosa d’altro, altre “minoranze oppresse” della ex Birmaniada far saltare fuori.

Visto che sono dotato di facoltà predittive ve le elenco:

1) I Jinpo ( ma li chiameranno Kachin, i birichini), popolo sino tibetano che vive nell’estremo nord del paese, in secolare contrasto con il governo birmano. Sono perlopiù cristiani, pertanto il governo indiano potrebbe fare finta di non vedere l’arrivo di armi e rifornimenti. Attualmente la zona è occupata militarmente dall’esercito birmano.

2) Gli Shan, che vivono nell’est del paese, al confine con la Cina. popolo di etnia Thai, scacciato secoli fa da quello che adesso è territorio cinese dagli Han. Pure loro hanno combattuto a lungo con il governo birmano e sono occupati quasi militarmente. I loro proxy potrebbe essere il governo thailandese o le popolazioni thai ai confini, sensibili ai soldi e ai traffici di oppio, che potrebbero venire di nuovo coltivato in zona.

Qualche giornalista europeo e americano presto comincerà a parlare di queste “guerre dimenticate“, vedrete.

Vediamo come reagirà nel caso il governo cinese, che ci metterebbe un attimo a inviare un milione di soldati per far fuori tutti i rivoltosi.

Neri, bianchi, gialli, thai o tibetani, anche tutti insieme.

Non so voi, ma io preparo un sacco di popcorn.

P.S. secondo voi chi ha organizzato così male la ribellione dei Rohinga, spendendo tra l’altro un sacco di soldi? Chi ha pensato di istigare la fazione più sfigata, circondata da colossi loro nemici  e li ha convinti che potrebbero vincere?

Ah, saperlo….

By Nuke di www.liberticida.altervista.org e www.orazero.org